From the daily archives: mercoledì, Marzo 27, 2013

Ritengo utile fare il punto della situazione sui mercati, partendo dal 2006.

Era infatti  il 2006 quando prese a sgonfiarsi una bolla immobiliare (con epicentro gli Stati Uniti) che aveva assunto dimensioni enormi.

Le compravendite, dopo un decennio di eccessi (favorito anche dalla scelta scriteriata di Greenspan di mantenere i tassi bassi), dapprima tornarono a livelli normali per poi scendere sotto la media nel 2007 e nel 2008 registrare minimi drammatici.

Lezione da ricordare: un livello eccessivamente prolungato di tassi bassi ha favorito la formazione di una bolla (nel caso specifico una bolla immobiliare).

La crisi immobiliare portò ad un crollo generalizzato dei listini azionari del mondo intero.

D’altra parte, gli Stati Uniti rappresentavano e rappresentano tuttora la prima economia mondiale, in grado quindi di influenzare come nessun altro l’economia di tutti gli altri Paesi.

Con lo scoppio della crisi emersero tutte le fragilità della nostra Unione Monetaria…l’Area Euro.

Infatti, paradossalmente, nonostante l’epicentro della crisi immobiliare è da ricondurre agli Stati Uniti, col tempo le maggiori difficoltà riguardarono (e riguardano tuttora) l’Area Euro.

I motivi vanno ricercati nella differenze tra le due Unioni: una solidale l’altra no, una colloca i Treasury l’altra non colloca gli Eurobond, una emette liberamente moneta per stimolare l’economia l’altra non lo fa per paura dell’inflazione, ecc.

Ad ogni modo, nel frattempo, sia la FED che la BCE ridussero notevolmente i tassi fino a portarli rispettivamente agli attuali 0-0,25% e 0,75%.

L’asset obbligazionario è stato notevolmente avvantaggiato da questo processo (ricordo, per i meno esperti, che la discesa dei tassi di interessi rappresenta uno degli elementi favorevoli per il mercato del debito).

Va comunque precisato che tra il 2010 ed il 2011 si crearono nette distinzioni tra i titoli governativi, in base alla capacità o meno di emettere moneta ed in funzione della situazione economica più o meno rosea.

Il mercato, per esempio, riserva un trattamento diverso ad un Paese come l’Inghilterra che nel caso di necessità può emettere denaro (quindi privo di rischio di default) ed un altro che, come l’Italia, non può farlo (quindi con rischio default).

Gli investitori, inoltre, all’interno della stessa Area Euro (i cui Paesi membri ricordo essere tutti privi di sovranità monetaria) prediligono ovviamente quelli economicamente più solidi (per esempio la Germania rispetto all’Italia, ma si potrebbe anche generalizzare distinguendo l’Area Euro settentrionale rispetto a quella meridionale).

Il tutto s’è riflesso in rendimenti bassissimi per alcuni Stati e drammaticamente elevati per altri, al punto da divenire, nei casi più gravi, insostenibili.

Ad ogni modo, ad oggi abbiamo un mercato obbligazionario globale che in prevalenza offre rendimenti reali (al netto dell’inflazione) negativi e quindi molto poco attraenti.

Tale situazione rappresenta un eccesso che non può reggere in eterno.

Ora, delle due l’una: o scende l’inflazione (rendendo meno sconvenienti le obbligazioni) o si deprezzano le obbligazioni (aumentandone ovviamente i rendimenti).

In Paesi come la Germania, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, il Giappone, l’anomalia dei rendimenti reali negativi si protrae da diverso tempo…troppo, specie se si considera che l’ipotesi più accreditata, dopo anni di tassi bassi, è invece quella che vede una salita dell’inflazione.

Attualmente il rischio maggiore lo vedo sui Treasury americani, poiché l’economia Statunitense è attualmente la più solida, e quindi un futuro rialzo del tassi di interessi (dannoso per il mercato obbligazionario) è ipotesi credibile.

Ricordate che in precedenza s’era consigliato di tener presente la lezione che ci aveva insegnato che  ‘un livello eccessivamente prolungato di tassi bassi generi la formazione di bolle’?

Bene, nel 2006 si arrivò ad una bolla immobiliare, oggi siamo dinanzi a quella obbligazionaria.

Va comunque detto che le bolle scoppiano dopo qualche mese che si sono avvistate, per cui è difficile individuarne con precisione il punto di svolta anche se va comunque evidenziato che alcuni titoli di stato è da un po’ di tempo che hanno smesso di registrare nuovi massimi.

Tornando all’inflazione, ad momento, solo il verificarsi di un evento di enorme portata negativa potrebbe causarne un deciso calo (che peraltro partirebbe da livelli non certo alti) e rendere meno sconvenienti le obbligazioni.

In questo caso, probabilmente assisteremo al forte peggioramento delle economie mondiali (recessioni e rallentamenti), ad un crollo generalizzato dei mercati azionari e delle obbligazioni emesse dai Paesi più deboli (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, ecc.) e ad un calo delle materie prime; d’altro canto, le obbligazioni emesse dai Paesi più sicuri (Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti, ecc.) eviterebbero il crollo ma non avrebbero, a mio avviso, ampi margini di salita perché a quel punto gli investitori dovrebbero rifugiarsi sull’oro, in calo da ottobre.

Tuttavia, nonostante sussistano aspetti in grado di far male (le fragilità dell’Area Euro, il Piano di Rientro dal debito degli Stati Uniti, la bolla immobiliare e del credito privato cinese, ecc.), l’impressione è che le autorità, nel caso di necessità, faranno il necessario per fronteggiarle ponendovi delle toppe (quindi soluzioni temporanee e non risolutive).

Pertanto, al momento, il mercato obbligazionario sembra destinato a scendere perché assai caro; infatti, per ottenere rendimenti accettabili è necessario ricercare scadenze lunghe e/o emittenti con bassa affidabilità (quindi con rischio consistente).

Ma, scadenza lunga e rischio alto sono caratteristiche tipiche del mercato azionario che a questo punto diventa una valida alternativa, con un rapporto rischio-rendimento più attraente.

In sintesi, in questa situazione gli investitori preferiscono dirigersi sul mercato azionario, sempre che, come spiegato precedentemente, non si verifichi un evento talmente grave da non poter essere controllato dalle autorità e in grado di diffondere panico (il che combacerebbe con un’esplosione della volatilità).

In altre parole, lo scenario attuale basato su alternative poco competitive, tassi bassi e assenza di panico è estremamente favorevole al mercato azionario.

Va comunque specificato che gli Stati Uniti e l’Area Euro si distinguono sia per quanto concerne la politica monetaria-economica (molto più espansiva per i primi), sia per quanto concerne i dati economici (piuttosto solidi, seppur drogati dagli aiuti, i primi, molto fragili i secondi).

Comunque sia, all’interno di questo scenario favorevole all’asset azionario globale, il nostro mercato si colloca in una posizione interessante ma allo stesso tempo delicata: infatti, se da una parte il fatto che l’essere reduce da anni di fortissimi cali ne amplia i margini di recupero, dall’altra la crisi economica e quella politica potrebbero ancora una volta tenere al palo il nostro indice e render l’Italia stessa una delle possibili minacce in grado di stravolgere l’impostazione favorevole del mercato azionario.

In questa situazione sarà bene monitorare l’eventuale tenuta di supporti tecnici importanti, l’eventuale comparsa di figure di inversione e lo sviluppo degli eventi economici e politici.

Concludo con una precisazione in merito al mercato obbligazionario: per quanto esso sia caro, hanno comunque un senso finanziario investimenti sul debito se diretti a ricercare il guadagno attraverso la scelta della valuta (ma riducendone la duration).

Riccardo Fracasso

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