From the daily archives: mercoledì, Settembre 16, 2015

I tassi americani sono tra lo 0 e lo 0,25% da dicembre del 2008.

Quasi 7 anni di politica monetaria iperespansiva senza precedenti, peraltro potenziata a lunghi tratti da imponenti piani di QE, per fronteggiare la violenta recessione economica causata dalla crisi immobiliare.

E’ sufficiente ciò per giustificare l’enorme attesa per l’annuncio di domani della decisione della Federal Reserve che, per la prima volta, dopo diversi anni, sta concretamente considerando l’ipotesi di un rialzo dei tassi.

Il rialzo dei tassi è un intervento che, solitamente, ha lo scopo finale di raffreddare l’economia scoraggiando il ricorso all’indebitamento.

Volendo semplificare l’argomento, le condizioni necessarie per un rialzo dei tassi sono due:

  • disoccupazione in decisa discesa e su livelli alquanto contenuti;
  • inflazione su livelli superiori a quelli voluti dalla FED (2%).

In sintesi, l’economia, oltre ad essere forte, deve trovarsi in fase di surriscaldamento.

Per quanto riguarda il primo punto, la disoccupazione (ultima rilevazione = 5,1%) si è praticamente dimezzata dal picco del 2009 (10%).

D’altro canto, però, l’inflazione non solo non supera il target della FED ma si attesta su valori negativi (-0,2%) che richiederebbero persino interventi espansivi (quindi in direzione opposta a quelli di un rialzo dei tassi).

La lettura d’insieme degli indicatori ci porta ad affermare che la crescita economica americana è robusta ma ben distante dal poter esser considerata in fase di surriscaldamento (anzi, sullo sfondo resta sempre il pericolo della deflazione).

In buona sostanza, non sussistono ancora le condizioni per un aumento dei tassi, che andrebbe a sommarsi al restringimento monetario già avvenuto con l’azzeramento del QE3.

Sempre che la Federal Reserve non decida di alzare i tassi per un fine diverso da quello di raffreddare l’economia.

Chiarisco: una politica monetaria espansiva eccessivamente prolungata (come quella in corso dal 2008) favorisce il ricorso all’indebitamento (vedi il margin debt sui massimi storici) ed alimenta delle bolle (nel 2008 avevamo quella immobiliare, oggi abbiamo quella sui bond, ma non solo).

Tale aspetto potrebbe spingere la Banca Centrale degli Stati Uniti a normalizzare gradualmente, seppur in assenza di pressioni inflattive, la politica monetaria.

Ad ogni modo, personalmente, ritengo che la FED domani opterà per un nulla di fatto ed è in questa direzione che si muovono i sondaggi.

Comunque, al di là di quel che sarà la decisione, ritengo che in ogni caso non modificherà il trend secondario ribassista in corso.

Riccardo Fracasso

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