Recentemente ho più volte ripetuto come la risposta più efficace alla crisi per l’Italia sia quella di dare un ultimatum alla BCE richiedendole di emettere denaro e donarlo (non prestarlo) ai Paesi membri in crisi, ed in cambio impegnarsi ad attuare Piani di Austerity che non prevedono il taglio di servizi e/o l’aumento della pressione fiscale, ma che si basano esclusivamente sull’eliminazione della spesa improduttiva (quindi degli sprechi) e la privatizzazione degli asset infruttiferi.
Nel caso in cui tale ultimatum non dovesse essere accolto, a mio avviso la soluzione migliore diventerebbe quella dell’uscita dall’Area Euro con la riappropriazione della sovranità monetaria.
Ovvio che nel momento in cui si dovesse andare dalla BCE ad intimarle di emettere denaro a proprio favore, pena la propria uscita dall’Area Euro, sarà indispensabile arrivarci avendo già pianificato in ogni dettaglio l’uscita, per essere pronti ad un eventuale rifiuto.
Sono ben consapevole che l’uscita non sarebbe indolore perché vedrebbe un periodo di turbolenze sia in merito all’aggiustamento della valuta che del sistema bancario (rischio fuga di capitali dovuto al panico).
Tuttavia, per valutare la validità di un’ipotesi, è sempre bene confrontarla con le alternative che al momento si riducono nella strada che stiamo percorrendo.
La strada che abbiamo intrapreso è quella in cui la crisi non potendosi sfogare sulla valuta si avvita su se stessa e le aziende, non potendo ritrovare un po’ di competitività grazie alla svalutazione della moneta, la troveranno inevitabilmente in una svalutazione dei salari.
Tale svalutazione, però, significa anche abbattimento della domanda interna e aggravamento della recessione tuttora in corso.
Sia l’ipotesi di una BCE che emetta denaro in favore dei Paesi più in crisi che ancor più quella di un’Italia che esce dall’Area Euro sono ipotesi altamente criticate da molti esperti e non.
I dubbi sono leciti, specie per l’ipotesi di un’uscita dall’Area Euro della quale non abbiamo un riscontro storico cui fare riferimento.
Tuttavia, un conto è avere dubbi un altro è, in un contesto di forte recessione, non prendere nemmeno in considerazione altre possibilità, come per l’appunto, l’uscita dall’Area Euro.
Probabilmente non tutti percepiscono l’entità della crisi non vivendola in prima persona e rifiutano di valutare alternative che presentano incertezze.
E’ comprensibile, com’è comprensibile che chi ha la fortuna (come me) di avere un lavoro non vuole correre il rischio di lasciare una strada per un’altra piena di punti di domanda.
Innanzitutto va evidenziato che, anche se magari non tutti ce ne accorgiamo, pure la strada che stiamo percorrendo attualmente presenta diversi punti di domanda.
Inoltre, io invito chiunque ha un’occupazione ad immedesimarsi per un giorno in una tra quelle circa 2000 mila persone che ogni giorno perdono il lavoro e che magari solo qualche mese fa non avrebbero nemmeno immaginato di vivere un dramma simile.
In quella situazione, probabilmente, si inizierebbe a percepire meglio la crisi e si prenderebbe in considerazione qualsiasi alternativa, anche la più incerta, perché a quel punto potrebbe essere preferibile l’incertezza alla certezza di un presente senza lavoro.
In poche parole, la domanda da porsi è: ‘E se fossi io disoccupato la penserei nello stesso modo?’.
Un’altra è: ‘Devo aspettare di perderlo il lavoro per capire che bisogna almeno prendere in considerazione strade alternative?’.
Riccardo Fracasso
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