From the monthly archives: Novembre 2016

“Il prezzo è quello che paghi, il valore è quello che ottieni” – Benjamin Graham, noto economista che per primo sviluppò la teoria del value investing (acquistare titoli al di sotto del loro valore intrinseco).

Tra i più famosi seguaci di Graham, Warren Buffet che, ricordiamo, non partecipò alla ‘moda’ dei titoli tecnologici del 2000, non scorgendone valore.

La ricerca del valore è uno degli aspetti che contraddistingue il trader dall’investitore.

Il primo, incurante del valore, segue il segnale.

Nelle valutazioni del secondo, invece, il valore assume grande rilievo.

Poi, ovviamente, esistono gli eccessi, quanto al ribasso tanto al rialzo, che possono prolungare un movimento oltre ogni ragionevole aspettativa.

Per cui, anche l’investitore, in presenza di un mercato sopravvalutato (purchè non troppo) può decidere di parteciparvi e, d’altro canto, può scegliere di attendere conferme tecniche prima di acquistare un asset molto sottovalutato.

Un buon criterio di valutazione di una Borsa è quello che, partendo dal presupposto secondo cui essa è rappresentativa dell’economia di un Paese, esamina il rapporto che intercorre tra la sua capitalizzazione complessiva ed il PIL.

Si ottiene quindi una percentuale che va considerata in base alla sua serie storica:

Rapporto capitalizzazione di Borsa e PIL USA

Rapporto capitalizzazione di Borsa e PIL USA

Poichè la media storica è pari a circa l’80% (livello che può essere assunto come il fair value), l’attuale rapporto al 123,4% descrive una notevole sopravvalutazione, superiore persino a quella registrata col picco del Giugno 2007 (110%) che, come sappiamo, anticipò un crollo che resterà nella storia.

Secondo il principio del mean reversion un indicatore tende a ritornare sulla propria media di lungo periodo; ne consegue che col tempo il rapporto è destinato a scendere all’80%.

E’ bene ricordare che con lo scossone dello scorso inverno che spaventò i mercati, tale rapporto giunse solo al 110%.

Magari il rialzo della borsa americana si protrarrà ulteriormente, ma è bene sapere che qui non c’è valore e la situazione è di forte eccesso, confermata anche dalla leva finanziaria (margin debt) sui massimi storici ed alcuni indicatori tecnici (VIX molto basso, RSI su base trimestrale in ipercomprato, ecc.).

Ora passiamo all’oro del quale mettiamo in fila diversi aspetti:

  • Il prezzo attuale è leggermente inferiore ai 1.200 dollari, pressochè in linea con i soli costi d’estrazione (sarebbe sufficiente tale punto per parlare di forte sottovalutazione);
  • Una critica che molti operatori rivolgono all’oro è che non offre cedole o dividendi; tuttavia, in uno scenario in cui il mercato obbligazionario offre rendimenti anche negativi, tale ‘difetto’ è venuto meno e l’attenzione verso tale metallo è tornata;
  • L’oro, tra l’altro, ha un ruolo di bene rifugio presso il quale, nel caso di forti tensioni (possibili se non probabili nell’attuale contesto), solitamente si riparano diversi operatori;
  • L’oro è una materia prima atipica, che può anche essere considerata sotto certi aspetti come una valuta, tant’è che le Banche Centrali hanno delle riserve in oro oltre che in valute. D’altro canto, negli ultimi anni le Banche Centrali hanno stampato enormi quantità di moneta fresca (dollari, euro, yen, sterline, ecc.) mentre l’estrazione dell’oro è aumentata pochissimo.  Pertanto, attenendoci al solo principio della domanda e dell’offerta l’oro dovrebbe essere la valuta che negli ultimi anni s’è maggiormente apprezzata, mentre invece s’è deprezzata.

Per quanto detto, nell’oro io vedo valore.

Chiudo l’articolo ricordando che una caratteristica dei mercati è proprio la capacità/volontà di far apparire pericoloso ciò che è conveniente e conveniente ciò che è pericoloso.

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Riccardo Fracasso

 

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