Il Ftse Mib ha chiuso la seduta a 24.113 punti, registrando un -0,03%.
Il bilancio settimanale è pari a un +5%.
Tramonta l’ipotesi della forchetta ribassista e i prezzi si riportano nei pressi dell’importantissima area di resistenza intorno a 24.550 punti.
Area di resistenza che corrisponde al ritracciamento del 38,2% dell’intero vettore ribassista A-B sviluppatosi dal massimo di maggio 2007 (44.364 punti) al minimo di marzo 2009 (12.332 punti).
Livello grafico che ha respinto i tentativi di allungo nel 2009, nel 2015, nel 2018 e nel 2020 (con falsa rottura).
Il grafico rappresenta fedelmente il declino economico e la successiva stagnazione economica pluriennale in cui siamo intrappolati, a dimostrazione che nel lungo termine i listini azionari tendono a rappresentare fedelmente il PIL del rispettivo Paese (ovviamente, specie per la borsa americana che è la più manipolata al mondo, vi sono fasi di prolungato scollamento tra finanza ed economia, che però finiscono col ritorno alla realtà).
Se è vero che l’attuale assenza di segnali ribassisti ci impone di non escludere il superamento di tale area, è bene tener presente l’importanza di questo livello grafico in uno scenario in cui si è scontata qualsiasi prospettiva positiva (forte ripresa, piani di aiuti, Draghi, fine pandemia, ecc.) snobbando il contesto (crisi economica, chiusure, disoccupazione, ecc.).
In tale situazione è bene non sottovalutare la comparsa di segnali di inversione.
L’eventuale aumento della volatilità, allargamento dello spread e indebolimento del settore bancario (nell’ultima settimana meno performante rispetto al Ftse Mib) sono elementi che andrebbero letti come allerta.
Riccardo Fracasso
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