Bear market: qualche considerazione
Da qualche settimana si fa un gran parlare di bear market (letteralmente ‘mercato orso’, animale simbolo del ribasso, che si contrappone al bull market, ‘mercato toro’).
Dal punto di vista squisitamente tecnico è accettata la tesi secondo cui una correzione diventa bear market quando, come recentemente avvenuto, raggiunge il 20% di perdita dai massimi di partenza.
Si tratta di una percentuale stabilita come riferimento, ma ovviamente dal punto di vista pratico è pressoché nulla la differenza tra un calo del 19% e uno del 20%.
Personalmente, associo il bear market all’inversione, ossia discese violente che si avviano nella fase avanzata dell’espansione economica (4° stadio) e che anticipano un rallentamento/contrazione della crescita (5°-6° stadio).
Pertanto, sono eventi che generalmente si verificano a diversi anni di distanza l’uno dall’altro.
Le dimensioni e la sporadicità di tali avvenimenti sono all’origine di preziose quanto rare giunture d’acquisto, proprio quelle che possono fare la fortuna e la differenza di noi investitori.
Sono autentici crolli che nascono con l’euforia e si esauriscono col panico.
Il bear market vero e proprio, non solo deve presentare una sequenza di massimi e minimi decrescenti, ma anche una minor forza relativa rispetto agli altri mercati.
Per esempio, il mercato azionario deve sottoperformare quello obbligazionario.
Nel caso specifico degli Stati Uniti, lo S&P 500 deve sottoperformare il tresury a 10 anni.
Attualmente dal grafico di lungo termine emerge una parità di forza che ci riporta ai precedenti del 2000 e del 2007: fasi laterali poi rotte al ribasso per effetto di nuove vendite sul mercato azionario e la partenza definitiva del nuovo trend primario obbligazionario.
In entrambi i casi l’accelerazione ribassista dello S&P 500 si esaurì entro qualche trimestre mentre il tresury salì per svariati anni.
Peraltro, il riapprezzamento del tresury significherebbe un calo della parte lunga della curva dei rendimenti, aspetto coerente con lo sviluppo dell’attuale stadio del ciclo economico (5°).
Ad ogni modo l’invito è quello di prestare particolare attenzione al rapporto di forza tra la borsa americana e il rispettivo decennale governativo.
Riccardo Fracasso
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