Premessa: vi chiedo di dare a questo post una chiave di lettura economica e non politica.

Di seguito la tabella dei dazi che la scorsa settimana Trump ha esibito:

Attenendoci a questa tabella, le decisioni americane appaiono generose nei confronti degli altri Paesi, poiché sono introdotti dazi per la metà di quelli subiti.

La realtà è ben diversa.

Quelli indicati nella colonna centrale come dazi caricati agli Stati Uniti sono frutto del seguente calcolo:

deficit commerciale USA / merci importate

La verità?

Prendendo come esempio l’Unione Europea, i dazi nei confronti degli USA sono pari al 3%, non certo al 39%.

Il calcolo di Trump fa passare il concetto che il deficit commerciale nei confronti di un paese corrisponda a un dazio che gli Stati Uniti subiscono.

Onestamente è quasi ‘doloroso’ per chi ne sa anche un solo minimo di economia, leggere simili ragionamenti.

Sono convinto che all’interno dell’amministrazione di Trump, chi si occupa di economia sappia benissimo che quelli indicati nella colonna centrale non sono dazi.

Probabilmente s’è voluto parlare alla pancia degli elettori più ‘emotivi’ e trovare un calcolo che permettesse di giustificare le decisioni del nuovo governo.

Alla base di quel deficit commerciale, sta innanzitutto una propensione al consumo americana storicamente elevatissima, che non va certo imputata agli altri Paesi che hanno la sola colpa di offrire eccellenze (ricordiamo per esempio il made in Italy) che gli statunitensi invidiano, apprezzano e acquistano.

Passiamo agli effetti.

Gli Stati ‘vittima’ di questi dazi riporteranno inevitabilmente un calo delle esportazioni negli Stati Uniti che si rifletterà sicuramente sul PIL.

Anziché pensare di attuare dei contro dazi (reazione controproducente), la risposta più efficace sarebbe quella di intensificare rapidamente i rapporti commerciali con gli altri Paesi.

D’altro canto, la politica dei dazi alimenterà l’inflazione in America.

In più occasioni Trump ha ribadito che tali interventi consentiranno agli Stati Uniti introiti per centinaia di miliardi di dollari, senza precisare che si tratta di soldi che usciranno dalle tasche dai consumatori americani qualora continuassero ad acquistare beni esteri.

Tasche, peraltro, piuttosto vuote se si considera un tasso di risparmio praticamente nullo.

Riccardo Fracasso

 

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