PREMESSA
Chi, come me, pubblica post finanziari, inevitabilmente deve evidenziare i risvolti sui mercati anziché quelli umani, ed è quanto farò in questo articolo.
Premessa d’obbligo poiché spesso, in queste occasioni, si corre il rischio di trasmettere erroneamente una sensazione di insensibilità.
Il personale augurio di una soluzione diplomatica in grado di concludere rapidamente questa guerra.
FATTO
Il 7 Aprile il regime Siriano è stata accusato di un attacco chimico a Douma, la città principale di Ghouta, un’area controllata dai ribelli, da 7 anni protagonisti di una guerra civile.
Offensiva che ha causato la morte di diversi bambini.
Da una parte i Siriani e gli alleati Russi hanno smentito la notizia precisando che da diverse settimane i ribelli inscenavano attacchi chimici mai realmente avvenuti.
Dall’altro, invece, Stati Uniti, Francia e Regno Unito hanno dichiarato di disporre delle prove inconfutabili dell’attacco.
Giusto precisare che già in passato i Russi hanno mentito più volte in merito ad episodi simili e che appare poco credibile la tesi di una messinscena da parte di persone che da 7 anni stanno partecipando ad una guerra sanguinosissima.
La scorsa notte, ore 3 italiane, è scattato l’attacco congiunto di Stati Uniti, Francia e Regno Unito contro la Siria.
Preoccupanti le dichiarazioni immediate di Iran e Russia (entrambi alleati siriani) che hanno affermato che “l’attacco avrà delle conseguenze”.
I MERCATI
Gli atti terroristici hanno ripercussioni di breve termine sui mercati, e proporzionate alle dimensioni dell’evento.
Talvolta gli effetti si riducono a poche ore o, persino, sono nulli.
Diverso comportamento per le guerre in cui spesso (seppur non sempre!) si ripete il seguente schema sulle borse:
- Calo nella fase di incertezza;
- Reazione positiva allo scoppio della guerra, legata alla conclusione dell’incertezza che, ricordiamo, è sempre malvista dai mercati.
- Deciso rialzo alla conclusione del conflitto favorita dallo stimolo delle spese militari sulla crescita economica.
Ovviamente, si fa principalmente riferimento ai conflitti che coinvolgono gli Stati Uniti, la cui industria militare ha un peso economico molto rilevante.
Forse non è del tutto casuale, infatti, che la partecipazione americana alle guerre solitamente avvenga nelle fasi di crisi/recessione economica (che corrispondono alle fasi più acute del trend ribassista della borsa).
A pensar male, questa tempistica lascia immaginare che dietro ai conflitti americani spesso possa esserci una motivazione economica più che morale.
Tuttavia, in questa occasione l’economia americana è in piena fase di sviluppo, ed il trend primario americano è rialzista.
In buona sostanza, il posizionamento economico e finanziario diverso rispetto al passato può comportare un andamento diverso allo schema precedentemente illustrato.
Questa guerra potrebbe aggiungersi ad uno dei già tanti pretesti attualmente presenti (come la guerra commerciale, i forti eccessi, ecc.) in grado, non necessariamente nell’immediato, ad avviare l’inversione delle borse.
Ovviamente, lo sviluppo che assumerà il conflitto (difficili da prevedere) avrà un peso.
Inoltre, va sottolineato come la storia ci offra esempi di conflitti in cui le vendite sui mercati, a dispetto della statistica, si acuirono al termine della guerra a causa della decisione da parte di importanti produttori di petrolio di attuare l’embargo del petrolio (per esempio la Guerra del Kippur nel 1973).
A tal proposito, si ricorda come Russia ed Iran siano ai primissimi posti dei Paesi esportatori di petrolio, mentre gli Stati Uniti al primo tra gli importatori (dati 2016: 19,53 milioni di barili consumati a fronte di 8,85 prodotti).
Non azzardo previsioni in merito allo sviluppo della guerra, ma già allo stato attuale (mercati ricchi di eccessi) è difficile ipotizzare che il conflitto possa dar vita ad un nuovo rialzo di lungo termine delle borse; se poi dovesse entrare in scena concretamente la Russia e/o portare a qualche embargo, allora si diffonderebbe il panico nel mondo, anche quello finanziario.
Solitamente i conflitti internazionali favoriscono un bene rifugio come l’oro (il cui ingresso è stato proposto già lo scorso anno, a livelli inferiori dagli attuali).
Riccardo Fracasso
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