Con la chiusura del 2017 mi è balzato all’occhio la particolare situazione grafica di lunghissimo termine del cambio euro/dollaro.
Grafico:
Tutti sappiamo che l’Euro ha debuttato sui mercati finanziari nel 1999 e fisicamente nel 2002, per cui un grafico a 30 anni può sorprendere.
In realtà questo grafico, come si usa in questi casi, ricostruisce a ritroso l’andamento virtuale dell’Euro tenendo conto del cambio del 1999.
Una considerazione: la tendenza rialzista di lungo termine dell’Euro contro il Dollaro mette in discussione la credenza comune del dollaro come valuta forte o, perlomeno, dell’Euro come valuta debole.
Proprio questa forza di fondo dell’Euro ha rappresentato uno dei principali problemi per i Paesi Europei che in passato facevano ricorso a forti svalutazioni per spingere la ripresa (in primis l’Italia con la Lira).
Il time frame annuale elimina il rumore di fondo e mantiene esclusivamente le tendenze di lungo termine.
Tendenze che si sono estese per periodi con durate molto simili, tra i 7 ed i 9 anni.
Tale aspetto rappresenta un elemento di distinzione dai mercati azionari, in cui la durata delle fasi ribassiste solitamente è molto più breve (entro 2 anni).
Distinzione che, evidentemente, esclude una correlazione fissa tra il cambio euro/dollaro ed i mercati azionari (si creano invece correlazioni temporanee su archi temporali più ristretti).
La reazione rialzista dell’Euro nel corso del 2017 proprio a contatto con la trendline di minimi ribassisti di lunghissimo termine rappresenta il riconoscimento di quest’ultima.
Inoltre, la formazione dell’Engulfing Bullish annuale (per la cui attivazione sarà sufficiente segnare un massimo superiore ad 1,2093) avvalora ulteriormente la tesi secondo cui l’apprezzamento del dollaro avviatosi nel 2008 possa essersi concluso ed aver lasciato posto ad un lungo trend rialzista dell’Euro, con potenziale top nel periodo 2024-2026.
Se così fosse, anche gli obiettivi di prezzo sarebbero notevoli, ma ne parleremo eventualmente in un secondo momento.
Si precisa comunque che simili tendenze contengono comunque finestre temporali di direzione opposta anche notevoli (come l’apprezzamento del dollaro nel 2005 all’interno di un forte trend rialzista pluriennale dell’Euro) e di interesse per gli investitori.
Ad ogni modo, poichè nessuna analisi garantisce certezze, sarà bene tenere sullo sfondo tale ipotesi grafica e continuare ad esaminare grafici con time frame inferiore (settimanale/mensile), più utili dal punto di vista operativo.
Infatti, per quanto le considerazioni poste sul tavolo siano tecnicamente corrette e si confermino reciprocamente, gli interventi delle Banche Centrali e più generalmente gli sviluppi economici sono imprevedibili e possono stravolgere l’impostazione (fondamentale la tenuta della trendline che unisce i minimi di lungo termine).
Se da una parte è vero, come scritto, che non si rivelano correlazioni stabili di lunghissimo termine tra il cambio ed i mercati azionari, dall’altra si segnala che le uniche due svolte di lungo termine del rapporto da quando l’Euro realmente esiste (2000 e 2008), sono cadute o all’interno o alla vigilia di autentici crolli dei mercati azionari.
Se il passato dovesse ripetersi (il che è tutto da verificare) il biennio 2018-2019 potrebbe rivelarsi alquanto difficile per i mercati azionari.
Riccardo Fracasso
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