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Era il 22 luglio (ben tre mesi fa) quando, alla conclusione dell’articolo col quale commentavo il cosiddetto ‘Piano Marshall  per la Grecia’ annunciato il giorno precedente dall’Eurogruppo, affermai che  nel caso si fosse certificato il default sarebbero scattati tutti i CDS e si sarebbero messi in ginocchio gli emittenti, costretti a  pagare somme enormi, come nel caso di morte di un assicurato. 
 
Giovedì scorso (27 ottobre), nell’illustrare le decisioni emerse dal vertice UE, affermai che a seguito della svalutazione del 50% dei crediti privati, la Grecia poteva esser tranquillamente considerata fallita, ma che se le autorità avessero voluto ‘evitare di ammetterlo, aggrappandosi al fatto che sono stati i creditori a rinunciare volontariamente a metà di quanto gli spettasse, e che non è stata la Grecia a non onorare le proprie scadenze, quello sarebbe solo un modo ‘furbo’ per farci vedere la situazione migliore di com’è realmente’.
 
Il CDS è una sorta di polizza in cui l’alea è rappresentata dal default dell’emittente di determinate obbligazioni (in tal caso la Grecia).
La possibilità di acquisto anche per chi non è in possesso delle obbligazioni da assicurare rende lo strumento assai speculativo.
L’obbligo di pagamento del CDS scatta nel caso di ‘credit event’ (default).
 
L’agenzia di rating Fitch ha affermato che la svalutazione del crediti privati rappresenta il ‘credit event’, ma il compito di stabilirlo spetta all’ISDA (International Swaps and Derivatives Association).
L’ISDA sostiene che fino a che sono i creditori a rinunciare volontariamente al credito o a parte di esso, non sussiste default. 
Affermare che un debitore non fallisce se sono i creditori a rinunciare volontariamente a quanto gli spetta è un ragionamento che non fa una piega.
Ciò che invece è contestabile è l’effettiva volontarietà di banche ed assicurazioni a rinunciare ai propri crediti.
E’ un dato di fatto che la Grecia, ormai da oltre un anno, da sola non sia in grado di onorare le proprie scadenze, prova ne è la richiesta di salvataggio.
In sintesi, le banche hanno rinunciato al 50% dei propri crediti non per fare beneficenza ma perchè costrette da una situazione in cui non esistevano alternative migliori.
Alla luce di quanto appena scritto, il concetto di volontarietà si indebolisce, e la decisione dell’ISDA finisce da una parte con l’essere un gravissimo torto ai sottoscrittori dei CDS, e dall’altra favorire gli emittenti degli stessi.
I principali emittenti sono banche ed assicurazioni americane, e si stima che potenzialmente un fallimento greco costerebbe loro circa 25 miliardi di euro.
Sarà un caso ma il comitato dell’ISDA è composto principalmente proprio da rappresentanti degli emittenti.
Il conflitto di interessi è evidentissimo.
 
Chi volesse contestare la decisione dell’ISDA dovrebbe far ricorso all’ISDA stessa, ed in particolar modo alle cosiddette ‘determination committee’.
Ogni ‘determination committee’, però, è composta da 15 membri, di cui 10 eletti dalle società emittenti di derivati (quindi i venditori) e solo 5 nominati dai fondi (quindi gli acquirenti).
E’ pur vero che per quanto spetti all’ISDA stabilire l’esistenza del ‘credit event’, la decisione in merito alla Grecia potrebbe allontanare gli investitori dal mondo dei CDS.
E come dar loro torto.
 
 
Riccardo Fracasso
 
 
 
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