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Il 2 maggio 2010 l’Unione Europea varò un pacchetto di aiuti pari a 110 miliardi di euro per soccorrere la malconcia Grecia.
Giusto una settimana dopo, il 9 maggio, fu istituito il cosiddetto Fondo Salva Euro   (di 750 miliardi) dal quale poter attingere risorse per sostenere i Paesi in difficoltà.
Il 12 febbraio dell’anno in corso l’Eurogruppo ha raggiunto un accordo sulla creazione di un Fondo anticrisi permanente che sostituirà l’attuale fondo Efsf (Fondo Salva Euro) e partirà dalla metà del 2013.
Esso potrà gestire 500 miliardi di euro, somma che sarà rivista ogni due anni.
Rimarrà il ruolo del Fondo Monetario Internazionale (FMI), pronto ad intervenire in caso di necessità.
 
Della drammatica situazione della Grecia e del suo inevitabile epilogo (fallimento) ve n’ho già parlato; ciò che invece oggi voglio risaltare è qualcosa di ben più grave: la fragilità dell’intero sistema economico dell’UE.
Entrando nel dettaglio:  i 750 miliardi del pacchetto erano composti da 250 (1 euro ogni 2 stanziati dall’UE) messi a disposizione dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), 60 dal bilancio dell’Unione europea e 440 dalle cosiddette garanzie bilaterali degli stati dell’eurozona, che altro non sono che denaro che la Commissione europea ha raccolto sul mercato tramite l’emissione di nuove obbligazioni, utilizzando come garanzia il bilancio UE.
In buona sostanza, la maggior parte del Fondo Salva Euro è composto da denaro raccolto a debito dall’UE che, a sua volta, presta ai Paesi in difficoltà, per aiutarli ad onorare le scadenze obbligazionarie.
Per sintetizzare il meccanismo di aiuti, abbiamo quindi dovuto parlato di debito, prestito, scadenze obbligazionarie da onorare e Paesi in difficoltà: non so a voi, ma io tutto ciò lo trovo terribilmente preoccupante!
C’è di più:  i maggiori finanziatori   di quelle stesse obbligazioni che attualmente sono a  rischio insolvenza sono quegli stessi Stati che ora fanno credito all’UE.
 
Venerdì scorso, il premier greco Papandreu ha comunicato che l’entità del nuovo piano di aiuti che la penisola ellenica riceverà, dipenderà dalla partecipazione dei creditori privati, e che dovrebbe esser per un ammontare simile al precedente (110 miliardi).
Balza all’occhio una novità rispetto al primo piano: la partecipazione dei creditori privati (banche).
Si va pertanto verso un sistema economico con protagonisti i seguenti attori:
·         Paesi soccorsi sempre più deboli ed indebitati, destinati a fallire non appena finiranno le limitate risorse per gli aiuti o, ancor prima, le speranze sulla possibilità che si salvino.
Inoltre, non è assolutamente da escludere l’ipotesi che in un futuro anche prossimo possano gli  stessi Paesi in difficoltà dichiarare fallimento rifiutando gli aiuti perché non più disposti ad accettare gli enormi  sacrifici imposti.
·         Paesi virtuosi (mi riferisco specialmente alla Germania)  con crediti crescenti nella dimensione ma decrescenti nella possibilità di recuperarli integralmente.
Stati floridi che invece di trascinare gli altri Paesi fuori dalle sabbie mobili della recessione, rischiano realmente di venirne risucchiati.
·         Banche private che per fornir liquidità ai Paesi rischieranno seri pericoli di liquidità e svolgeranno ancor meno di ora, la propria funzione di credito.
·         Imprese (in particolare le PMI) che, incontrando ancor maggiori difficoltà di accesso al credito, si ritroveranno costrette a chiudere o a ridimensionare la propria attività tagliando ancor più i costi, ed in particolare il personale, causando  l’aumento della già elevata disoccupazione, il crollo dei consumi e minori entrate fiscali per gli Stati.
·         Un organizzazione internazionale (N.d.r l’UE) con debiti che aveva programmato di onorare raccogliendo i crediti che aveva con i Paesi ai quali aveva fornito liquidità.
Non è da escludere totalmente l’ipotesi che nel futuro persino la stessa UE possa incontrare difficoltà a rispettare le  scadenze delle obbligazioni sottoscritte; in tal caso il panico raggiungerebbe livelli mai visti dalla crisi del 1929.
L’eventuale momento in cui persino l’affidabilità di un’organizzazione internazionale europea verrà messa in discussione, sarà il momento in cui in Europa non esisterà alcun porto sicuro per propri investimenti.
 
Si stanno dunque trattando la Grecia, l’Irlanda ed il Portogallo come delle grossissime ‘banks too big to fail’  (banche troppo grandi per poterle lasciare fallire) ma i risultati fanno pensare che sia il caso di terminare questo accanimento terapeutico che, come abbiamo visto, può divenire, ed in parte già è successo, un pericoloso boomerang.
 
Riccardo Fracasso

 
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