Recentemente i media hanno evidenziato a gran voce la possibilità che a breve sarà la Germania ad estrometterci dall’Area Euro.
Inizio col dire che al momento è un’ipotesi assurda.
Andiamo allora a capire che significherebbe nel concreto uscire dall’Area Euro.
In caso di uscita, gli esperti stimano una svalutazione della nostra nuova valuta intorno al 20%.
Se è corretto affermare che la svalutazione da una parte sfavorisce gli importatori, dall’altra è altrettanto doveroso ricordare che avvantaggia le esportazioni.
Storicamente l’Italia è sempre stato un Paese prevalentemente esportatore, anche se tale caratteristica s’è praticamente andata ad azzerare con l’avvento dell’Euro a causa del forte aumento delle importazioni (con deciso aumento del debito).
Nonostante tale cambiamento, la bilancia commerciale (differenza tra esportazioni ed importazioni) è in sostanziale parità; ciò significa che in caso di svalutazione si partirebbe da una situazione in cui gli svantaggi per gli importatori equivarrebbero ai vantaggi sugli esportatori.
Da questa situazione l’Italia avrebbe inoltre la possibilità di intervenire per attenuare sensibilmente i danni agli importatori.
Innanzitutto, il problema può essere risolto per tutti quei beni importati che sono facilmente sostituibili con l’offerta interna: per esempio, l’acquisto di una macchina tedesca può esser sostituito con l’acquisto di una macchina italiana.
E’ fisiologico che i consumi si dirigano laddove c’è convenienza ed normale quindi che una buona parte dei consumatori si adegui ai cambiamenti dell’offerta, senza doverla subire.
Resta quindi il problema dei beni importati non sostituibili.
L’esempio più classico è quello del petrolio: in caso di svalutazione è inevitabile il rialzo del costo dello stesso che si traduce a sua volta nel rialzo dei prezzi alle pompe e conseguentemente su quei beni trasportati su gomma.
E’ sicuramente un aspetto da non sottovalutare; tuttavia, lo Stato potrebbe annullare il rialzo causato dalla svalutazione riducendo una parte delle accise che gravano sui rifornimenti e che sappiamo incidere notevolmente sul prezzo.
Riassumendo, i danni sugli importatori potrebbero essere contenuti sensibilmente attraverso:
- sostituzione da parte del consumatore del bene importato con un articolo di casa (con grosso beneficio per le aziende italiane);
- riduzione accise sull’energia.
D’altro canto, l’aumento delle esportazioni incrementerebbe notevolmente il volume d’affari delle aziende le cui vendite sono prevalentemente orientate all’estero.
In buona sostanza, s’è detto che:
- la svalutazione favorisce gli esportatori ma sfavorisce gli importatori;
- in Italia le esportazioni equivalgono le importazioni però…
- …i danni sulle importazioni possono essere ridotti e quindi….
- …i vantaggi per gli esportatori finirebbero per prevalere nettamente sugli svantaggi per gli importatori.
Abbiamo dunque visto come molte aziende italiane ne beneficerebbero perché diventerebbero più competitive:
- entro in confini, poiché i prodotti stranieri diventerebbero assai meno convenienti per noi consumatori italiani;
- oltre i confini, poiché i nostri prodotti, favoriti dalla svalutazione, diventerebbero molto convenienti per i consumatori stranieri.
Ora, è sufficiente ribaltare i due punti per capire ciò che vorrebbe dire per la Germania (e non solo) l’uscita dall’Area Euro dell’Italia:
- i prodotti italiani diventerebbero assai più convenienti per i consumatori tedeschi;
- i prodotti tedeschi, per colpa della rivalutazione della propria moneta (Euro) nei confronti della nuova valuta italiana, diventerebbero molto meno convenienti per i consumatori stranieri.
In parole semplici, l’uscita dell’Italia dall’Euro finirebbe per innalzare i consumi dell’Italia stessa e far scendere quelli degli altri, in particolar modo di quei Paesi che, come la Germania, esportano molto nel nostro Paese.
Inoltre, l’aumento dei consumi (quindi della domanda) porta un’azienda ad assumere personale, mentre la riduzione dei consumi spinge un’azienda a licenziare; in altre parole, l’uscita dall’Area Euro innalzerebbe l’occupazione in Italia e la disoccupazione in Germania.
A questo punto si innescherebbe:
- un circolo virtuoso per l’Italia poiché i nuovi occupati innalzerebbero ulteriormente i consumi favorendo l’assunzione di nuovo personale;
- un circolo vizioso per la Germania poiché i nuovi disoccupati ridurrebbero ulteriormente i consumi causando il licenziamento di altri lavoratori.
Siamo proprio sicuri che la Germania ci voglia fuori dall’Area Euro?
E’ fisiologico che la valuta di un Paese esportatore si apprezzi nei confronti di quella del Paese importatore.
In altre parole, il cambio rappresenta la valvola di sfogo per le differenze tra le economie: in linea generale la valuta di un’economia debole perde nei confronti di quella di un’economia forte e viceversa.
Ciò, però, non succede tra stati all’interno di un’unione valutaria e quindi con la stessa valuta (vedi Area Euro).
In questi casi non v’è quel naturale deprezzamento della valuta che favorisce le esportazioni, per cui i divari tra le economie finiscono per scaricarsi ancor più sull’economia reale stessa.
In tutti questi anni la Germania, grazie all’unità monetaria ed alla maggior competitività (di cui bisogna darle merito) s’è avvantaggiata del maggior ricorso all’indebitamento in particolar modo dei Paesi meridionali (Grecia, Spagna, Italia, Portogallo) e l’ha fatto in modo del tutto gratuito, ossia senza pagare il conto che consiste nell’apprezzamento della propria valuta (il che, come detto, avrebbe rappresentato uno svantaggio sulle esportazioni).
Dall’altra parte i Paesi meridionali hanno subito la maggior competitività di Paesi come la Germania senza godere della naturale svalutazione della propria moneta.
Siamo quindi in una posizione in cui, le potenziali conseguenze di un’uscita dall’Area Euro, ci consentono di fare la voce grossa.
Però, se si attende ancora un po’ per sbattere i pugni sul tavolo le imprese italiane continueranno a fallire e ad un certo punto non produrremo più nulla e, anche in caso di uscita dall’Euro, saremo costretti a subire integralmente gli svantaggi sulle importazioni mentre i vantaggi sulle esportazioni saranno minimi.
Per di più, a quel punto la svalutazione sarebbe molto più alta all’attuale stima del 20% e quindi il danno sarebbe immenso.
E’ un po’ la situazione in cui si ritrova la Grecia ora, della quale si stima, in caso di uscita dall’Euro, una svalutazione del 50-60%, senza però avere un sistema di produzione interno decente per sostituire le importazioni e per avvantaggiarsi come si deve con le esportazioni.
A mio avviso la scelta migliore l’hanno fatta e continuano a farla i Paesi come l’Inghilterra o la Svezia, che hanno deciso di tenersi la propria moneta.
Ora, visto e considerato che il danno è stato fatto (entrare nell’Area Euro) la soluzione migliore è quella che gli Stati membri diventino gli Stati Uniti d’Europa, con una banca centrale che emette denaro in caso di necessità, con un’istituzione che colloca gli Eurobond, con una politica fiscale uguale per tutti, ecc.
Però, nel caso in cui ciò si dimostrasse impossibile, sarà bene non perder troppo tempo ed uscire dall’Area Euro, altrimenti ci risveglieremo presto con un sistema produttivo interno estremamente impoverito ed incapace, come detto, di offrire alternative alle importazioni e di avvantaggiarsi in misura significativa della svalutazione attraverso le esportazioni.
Riccardo Fracasso
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