Crisi: un po’ di storia
Nel riprendere in mano il libro ‘Questa volta è diverso’, ho avuto modo di rispolverare alcuni concetti acquisiti alla prima lettura di diversi anni fa.
Il testo fa riferimento alle crisi di otto secoli di storia, fino a a quella dei mutui subprime (2008-2009).
Dallo studio emerge, come elemento comune delle crisi, l’eccessiva accumulazione di debiti pubblici e/o privati, quindi, quello contratto dagli stati, dalle banche, dalle persone, dagli investitori, ecc.
Debiti i cui rischi, nella fase di boom, passano inosservati ma che prontamente, allo scoppio della crisi, si manifestano senza fare sconti.
Il debito rappresenta un aumento di liquidità che solitamente crea inflazione sui beni e servizi e/o sui titoli finanziari, originando una ingannevole percezione di ricchezza.
Nell’ultimo decennio sono andati alle stelle sia il debito pubblico che quello privato, creando inflazione all’interno del sistema finanziario e alimentando più di una bolla (bond in generale, borsa americana e qualche altro indice azionario).
Tale aspetto dimostra come la nuova liquidità per ora sia entrata marginalmente nell’economia reale.
Semmai dovessimo assistere a un’impennata dell’inflazione dell’economia reale, probabilmente sarà legata a un calo dell’offerta (vedi recente rialzo del petrolio) più che a un sostanzioso aumento della domanda, che invece sarà possibile solo nel caso in cui la liquidità si trasformerà in credito (aspetto da non dare per scontato).
Il debito contratto, quindi, è servito più che altro a compensare la crisi, rifinanziare il debito pregresso e ridurre i tassi (quest’ultimo elemento ha spinto gli investimenti verso gli asset più rischiosi, creando pericolosi eccessi).
Come già spiegato in passato, mentre il debito pubblico può essere finanziato dalla Banca Centrale, quello privato è finanziato dal settore privato e, essendo quindi più esposto alla propensione al rischio di chi lo finanzia (banche e sistema finanziario), è molto più instabile.
Il margin debt ai massimi storici evidenzia un ricorso al debito senza precedenti per acquistare azioni con liquidità prestata dalle banche.
I livelli di prezzo attuali sono quindi accompagnati da un forte incremento del debito che, come spiegato in precedenza, è fattore comune di ogni crisi.
In queste circostanze si diffonde la convinzione che ‘questa volta è diverso’, trovando giustificazioni a prezzi privi di logica, in cui il trend è supportato dall’euforia e non dai fondamentali.
Oggi, come alla vigilia delle precedenti crisi, siamo nuovamente in presenza di un elevatissimo debito e della convinzione che ‘questa volta sarà diverso, i prezzi non potranno crollare.’.
Proseguiamo.
Solitamente, le crisi che coinvolgono anche il settore bancario sono molto più gravi e lunghe da recuperare.
Le banche, contraendo debito principalmente a breve termine e erogandone soprattutto a lungo, si ritrovano inevitabilmente a dover attuare continui rifinanziamenti non sempre facili.
Non è un caso che la recessione del 2008-2009 fu molto più profonda e prolungata rispetto a quella del 2001 (mentre le discese delle borse furono simili).
Tutto fila liscio finché c’è fiducia, ma nel momento in cui la stessa viene a mancare, il settore bancario si ritrova a dover rifinanziare a tassi sempre più alti e a ridurre drasticamente il credito.
Poiché il ciclo economico è fortemente e sempre più correlato a quello del credito, va da sé che una stretta creditizia ne rappresenti elemento di forte penalizzazione.
Un buon indicatore anticipatore delle crisi bancarie è il mercato immobiliare.
Al momento, gli indicatori evidenziano un settore immobiliare in ottima salute, aspetto che ridimensiona notevolmente i rischi di una crisi bancaria.
Tuttavia, è bene ricordare come da Settembre 2019 e per almeno un anno, la FED ha iniettato giornalmente un’enorme quantità di denaro per contenere l’impennata del tasso REPO (tasso mercato interbancario dei pronti contro termine), inizialmente schizzato alle stelle (persino un picco al 10%, contro il 2-2,25% dei FED FUNDS).
Ciò dimostra come il sistema finanziario, contrariamente all’opinione comune, presentasse pesanti criticità ancor prima che si abbattesse il covid.
È bene sottolineare che l’ultimo precedente di simili interventi della FED risale al 2008, anno in cui le aste si esaurirono in pochi giorni.
Inoltre, desta un po’ di sospetto l’assenza in rete, da Settembre 2020 in poi, di aggiornamenti in merito a queste iniezioni, lasciando il dubbio su una loro prosecuzione o su una loro conclusione.
L’enorme piano di sostegno da poco approvato da Biden avrà successo in primis se il denaro si trasformerà in consumi da parte dei cittadini, e in secondo luogo se la liquidità non si fermerà nella pancia delle banche ma sarà ritrasmessa tramite nuovo credito; altrimenti l’impatto sarà irrisorio e temporaneo (i benefici dell’aumento della liquidità sarebbero annullati dalla riduzione della circolazione della moneta).
Ad ogni modo, con un ‘filo’ di ottimismo, per un attimo ipotizziamo sia che l’eccesso di debito pubblico sia sostenibile grazie alla stampa di denaro fresco, sia che il settore bancario non corra rischi di entrare in crisi (aspetti che ridimensionerebbero la gravità della situazione).
Resterebbe comunque un credito privato e, in particolare, un margin debt elevatissimi che, per la propria natura ciclica, sono destinati a rientrare.
Per di più, ribadiamo come col tempo il credito americano sia sempre più erogato dal sistema finanziario (attualmente per circa l’80%) e solo per il 20% dal settore bancario.
Conseguentemente, l’eventuale inversione della leva finanziaria equivarrebbe a una stretta creditizia, probabilmente con le stesse conseguenze che un tempo producevano le crisi bancarie.
A mio avviso dalla situazione attuale se ne esce solo con una decisa pulizia degli eccessi, delle quotazioni finanziarie e del debito in generale, a meno che non si pensi che ‘questa volta sarà diverso’.
Riccardo Fracasso
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