La storia insegna che il sistema economico/finanziario (paesi, banche, privati, aziende, mercati) si indebita oltremisura nei periodi positivi.
L’indebitamento aumenta la disponibilità di liquidità, quindi la capacità di erogazione di credito, di consumo, di investimento.
La nuova liquidità aumenta la percezione di ricchezza, ma si tratta esclusivamente di denaro preso in prestito che aumenta la capacità di spesa attuale erodendo quella futura.
L’eccesso di debito ha sempre portato a crisi.
Il credito erogato dalle banche è pro-ciclico e, quindi, si ridimensiona (stretta creditizia) proprio nelle fasi in cui i mercati ne avrebbero maggior bisogno.
Si innesca così il cosiddetto deleveraged (riduzione della leva) e si assiste al passaggio RISK ON-RISK OFF (propensione al rischio => avversione al rischio).
È quanto successo nel 2000, nel 2007, nel 2020, e quanto succederà in futuro per via della natura ciclica del credito.
Nei periodi di crisi restano i soli Paesi ad aumentare il proprio debito, spesso stampando denaro fresco.
Tuttavia, tale denaro non viene canalizzato nella giusta misura dalle banche indaffarate a rivedere il proprio profilo di rischio creditizio.
È bene tener conto che il credito non dipende tanto dalla liquidità presente sul mercato ma dalla propensione al rischio dei canali che la immettono (banche e sistema finanziario).
I problemi delle banche spesso nascono da un deprezzamento delle attività (per esempio titoli di stato o crediti incagliati).
La situazione precipita se si estende alle passività della banca.
Chiariamo: le banche sono caratterizzate dal fatto che si indebitano principalmente a breve termine (il semplice conto corrente rappresenta una forma di indebitamento a brevissimo termine, quindi una passività) e, mediamente, erogano crediti a lungo.
Tale aspetto le rende estremamente vulnerabili nel caso di corsa agli sportelli, tipica delle crisi bancarie.
Nel caso di notizie negative (per esempio, per l’appunto, sulle attività), c’è il rischio di una sfiducia da parte dei correntisti.
La corsa agli sportelli costringe le banche a smobilizzare risorse attraverso la vendita dei titoli, contabilizzando perdite non previste.
È quanto accaduto a Sillicon Valley Bank, le cui attività hanno incassato un duro colpo per via della svalutazione della consistente posizione di titoli di stato in portafoglio; titoli di stato che, peraltro, ha dovuto ridimensionare con vendite a prezzi sfavorevoli per fronteggiare la corsa agli sportelli.
Fallito poi il tentativo estremo di aumentare il capitale.
Al deprezzamento dei titoli in pancia della banca, probabilmente sono da aggiungere anche probabili crediti incagliati.
In molti potrebbero parlare di cigno nero, che altro non è che un modo per definire qualcosa di imprevedibile e negativo, spesso utilizzato per giustificare un posizionamento sbagliato.
Eventi come il covid possono definirsi dei cigni neri, ma il fallimento di una banca in fasi come l’attuale e tutt’altro che evento improbabile.
Le bolle si originano per effetto di un eccesso di liquidità (alimentato da un eccesso di debito) e scoppiano quando la liquidità viene a mancare.
Un decennio abbondante di politiche ultra espansive (tassi a zero e QE) non poteva che alimentare debito e bolle destinate a scoppiare col tempo.
E mentre nel 2000 abbiamo assistito alla ‘sola’ bolla tecnologica e nel 2007 a quella immobiliare, le misure espansive senza precedenti adottate dal 2009 in poi ci hanno invece portato a una complicatissima situazione di bolle a grappolo: obbligazionaria (che, almeno per la parte governativa di qualità, dovrebbe essersi esaurita), azionaria, immobiliare, cripto, ecc.
Riccardo Fracasso
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