Lo S&P 500  ha chiuso la seduta a 5.751 punti, registrando un +0,90%.

Il bilancio settimanale è pari a un +0,22%.

Settembre si è concluso con un +2,02% e il terzo trimestre con un +5,53%.

Se da una parte appare evidente che tra i principali elementi di supporto del rialzo vi sia quello politico, dall’altra devo ammettere che un anno fa non avrei di certo scommesso sulla capacità del listino azionario di mantenersi in alto fino alle elezioni americane.

La logica porta a pensare che, salvo fatti eclatanti, se chi sostiene la borsa è riuscito nel suo intento fino ad ora, difficilmente perderà il controllo nell’ultimo mese che ci separa dalle elezioni.

Penso al governo in carica, le cui lunghe leve hanno potere sulla macchina mediatica, sulla banca centrale e chissà su quanti altri organi in grado di sorreggere il mercato e, soprattutto, il sentiment degli investitori, indispensabile per mantenere in alto la borsa americana.

In più occasioni ho evidenziato una statistica molto robusta: nel trimestre (agosto-settembre-ottobre) preelettorale la borsa cresce, generalmente vince il candidato del partito al potere.

Viceversa, quando la borsa scende, vince quasi sempre lo sfidante.

Nel dopoguerra, in ben 9 volte sulle 10 in cui la borsa è scesa, le elezioni sono state vinte dallo sfidante.

Sono passati oltre due mesi del trimestre preelettorale e il bilancio dello S&P 500 è di un +4,35%; conseguentemente, dal punto di vista prettamente statistico, ad oggi appare avvantaggiata Kamala Harris, nonostante i sondaggi diano i candidati alla pari.

Certo che una volta raggiunto l’obiettivo, qualcosa potrebbe cambiare.

Ad ogni modo, in questo momento lo S&P 500 è sui massimi, all’interno di un ampio canale rialzista e in assenza di segnali ribassisti.

Riccardo Fracasso

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