PIL positivo: giusto sorridere?
Ci spostiamo dall’analisi tecnica a quella fondamentale analizzando uno dei principali indicatori delle economie: il PIL.
Seppure il quadro del 2015 è attualmente incompleto, è possibile sin d’ora, con le rilevazioni in nostro possesso, esprimere qualche considerazione.
Il segno ‘+’ dell’Italia non deve trarre in inganno.
Al momento il nostro PIL è migliore solo rispetto a quello della ‘povera’ Grecia.
Inoltre, il fatto sia inferiore a quello tedesco (+0,8% contro +1,7%), per quanto possa sembrare giustificato dalla maggior solidità economica della Germania, rappresenta un aspetto negativo perché dopo anni in cui loro sono complessivamente cresciuti e noi scesi (quindi noi, al contrario loro, partiamo da un livello significativamente più basso rispetto a quello di 5 anni fa) era ed è lecita una nostra sovraperfomance.
E le cose peggiorano se come termine di confronto si prende un Paese economicamente molto più fragile rispetto alla Germania, per esempio la Spagna che nelle ultime due rilevazioni (2014 e 2015) ha realizzato una crescita sensibilmente superiore alla nostra (+1,4% e +3,2% contro -0,3% e +0,8%).
Persino la ripresa del ‘modesto’ Portogallo negli ultimi due anni (+0,9% e +1,5%) è stata superiore alla nostra.
Sono il primo a sostenere che il PIL sia solo uno degli indicatori da considerare in un quadro più ampio ma, comunque sia, la sua lettura descrive una ripresa molto stentata.
Per quanto ogni Stato sia diverso e che il nostro si porta appresso da decenni un fardello molto più pesante rispetto agli altri (un debito enorme), magari studiare le motivazioni che stanno dietro alle rinascite di Paesi come Irlanda ed Estonia, consentirebbe all’Italia di intraprendere la strada giusta per ripartire.
Riccardo Fracasso
6 Responses to PIL positivo: giusto sorridere?
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Ciao Riccardo, andrebbe anche aggiunta la questione – che ha suscitato polemiche e rumore sulla stampa – per la quale l’Istat avrebbe pure “aggiustato” il dato del P.i.l. (in positivo).
Al punto che la stessa Istat si è vista costretta ad emettere una nota nella quale specificava che il 2015 aveva registrato due giorni lavorativi in più rispetto al 2014, portando il valore dell’incremento dallo 0,642 allo 0,759%. Il resto – sempre l’Istat lo ammette – lo ha fatto la regola dell’arrotondamento alla terza cifra decimale…e così ecco uno 0,6% diventare uno 0,8%.
A questo va poi aggiunto il notevole contributo dato dagli investimenti (il cui incremento è stato salutato dai media al suono delle fanfare come il maggiore dal 2007, cioè addirittura da prima della crisi), che invece è essenzialmente costituito da un incremento delle scorte, e, ancor più in particolare da quelle del settore auto. Alcuni analisti sono addirittura arrivati a ipotizzare che in sostanza la Fiat, da sola, abbia “contribuito” a quasi metà di quel P.i.l. Volendo fare una battuta, non avrei mai pensato che il noto “sostegno” di Marchionne a Renzi, oltre ai pubblici e reiterati endorsement si spingesse fino a questo punto, un punto così tremendamente …”concreto” !
Insomma, l’ennesimo esempio di come i numeri statistici possano essere manipolati e pure fatti “parlare” come meglio aggrada. E’ stupefacente che si debba ricorrere a ciò persino in un perdurante contesto di congiunzioni astrali favorevoli come non mai e, ovviamente, non certo eterne.
Ciao Andrea,
condivido come i numeri possano essere soggetti a manipolazione da chi li diffonde.
In questo post, in linea con lo spirito del blog, s’è cercato (e credo riusciti) a darne una lettura obiettiva.
Buona serata.
Riccardo
Buonasera Riccardo c’è da sperare, come hai più volte accennato, che l’indice si avvicini alla media storica del rapporto pil e capitalizzazione borsa essendo ancora il nostro indice ancora molto sottostimato rispetto ad altri indici mondiali buona serata
Ciao Cris,
è sempre bene ricordare che il ritorno verso la media storica riguarda il lungo termine.
Pertanto, nel frattempo non solo esclusi andamenti opposti.
Buona serata.
Oh, ma mica ce l’avevo con la TUA lettura, per carità, scherziamo ? 🙂
Ho fatto quelle puntualizzazioni perché proprio gli ultimi dati offrivano l’occasione di sottolineare come i numeri vadano sempre “letti” non solo dal punto di vista quantitativo (e già qui, come si è visto, possono essere abbelliti o imbruttiti), ma anche filtrati sotto il profilo qualitativo.
In altri termini, non conta soltanto il P.i.l. ma ad esempio anche la sua composizione, perché – a parità di numeri complessivi – una certa struttura può contenere embrionalmente una sua futura espansione, mentre un’altra può costituire il presupposto per una sua successiva contrazione.
E anche questo potrebbe spiegare certe apparenti sottovalutazioni immediate ed eccessive “deviazioni” rispetto alle medie storiche (ossia, l’aspettativa che in futuro il Pil peggiori).
E’ un po’ lo steso discorso della disoccupazione . se non vengono computati gli “inattivi” (ossia gli scoraggiati che il lavoro neppure lo cercano più), è chiaro che i “disoccupati” in senso stretto sembrino molti di meno di quanto siano realmente.
Ma ritengo che lo sappia anche meglio di me.
Ciao.
C’è stato un malinteso Andrea.
La mia risposta non era in difesa al tuo commento, anzi non era proprio una difesa.
Ho semplicemente concordato con quanto hai scritto evidenziando che in questo blog si cerca proprio di fornire quell’analisi qualitativa ai dati che tu auspichi, senza manipolarli, ma non avevo certo colto una critica dal tuo pensiero.
Ciao.