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Nei mercati finanziari l’unica certezza é l’assenza di certezze.

La consapevolezza di tale concetto semplice, quanto fondamentale, ci permette di mantenere la dovuta attenzione al rischio, evitando di operare con un’eccessiva sicurezza (la cosiddetta ‘overconfidence’), la principale causa di portafogli sbilanciati e perdite cocenti.

Tuttavia, l’incertezza non costituisce alibi per non studiare i mercati.

Infatti, se da una parte nessuno conosce il futuro certo, è comunque utile identificare quello più probabile.

Esistono parametri oggettivi per farsi un’idea sulla convenienza di un asset e statistiche che ci forniscono delle ipotesi interessanti.

Una volta selezionati gli elementi ritenuti più affidabili per il proprio metodo, è importante non sostituirli a piacere quando smentiscono le nostre visioni e deludono le nostre aspettative.

Quando si è animati dalla speranza e non dalle probabilità, si sta già sbagliando, al di là di quelli che saranno i risultati.

Anche una statistica che nel passato è stata rispettata nel 100% dei casi non rappresenta regola, ma ‘solo’ una solida indicazione su ciò che dovrebbe capitare e che, ad ogni modo, va contestualizzata col presente.

Per esempio, lo studio degli ultimi 25 anni ci insegna che ogni inversione rialzista del listino azionario USA ha avuto luogo in presenza di una curva dei rendimenti positiva; tuttavia, un’analisi più accurata e che tenga conto del particolare momento che stiamo vivendo ci porta alla crisi energetica degli anni Settanta, con una curva pressoché piatta e, comunque, un differenziale che nei mesi immediatamente precedenti era già in fase di restringimento.

Al tempo stesso, la valutazione delle prospettive economico/finanziarie americane richiede l’analisi del contesto, variato in modo sostanziale rispetto a quel passato fatto di numeri strabilianti che potrebbero fuorviare anziché essere d’aiuto per farsi un’idea sul futuro.

Si fa riferimento a un’economia sempre più legata al debito (debt driven), debito che non presenta certamente i margini di crescita del passato.

Diversamente, esistono economie più spinte da un reddito (income driven) destinato a crescere notevolmente grazie all’incremento del ceto medio (penso all’Asia).

Torniamo alle statistiche riferite alla borsa americana:

  • in passato NON abbiamo mai assistito a una inversione rialzista con una curva invertita e, peraltro, con un differenziale in fase di allargamento;
  • negli ultimi 25 anni NON abbiamo mai assistito a una inversione rialzista prima di un’esplosione della volatilità (VIX>=50%);
  • negli ultimi 25 anni NON abbiamo mai assistito a una inversione rialzista prima di una perdita decisa di forza della borsa rispetto al treasury a 10 anni.

Ribadisco: si tratta di statistiche che, seppur rilevanti, non rappresentano regola e non è reato supporre che ‘questa volta è diverso’, ma consapevoli che in passato queste parole sono state spesso fonte di delusione.

Riccardo Fracasso

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