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Settimana contraddistinta dalle elezioni americane con la netta vittoria di Donald Trump, che diverrà presidente a tutti gli effetti il prossimo 20 gennaio.

Anomala la sconfitta di Kamala Harris se si pensa alla borsa sui massimi e ai principali dati economici positivi, elementi statisticamente favorevoli al governo in carica.

Con Trump tornerà il protezionismo, una politica economica che si oppone al liberismo, attraverso l’applicazione di dazi e/o vincoli su una parte o su tutti i beni importati.

Trump lo adottò anche al precedente mandato, innescando una sorta di guerra commerciale contro gli altri paesi, in particolare la Cina.

Lecito pensare che la storia si ripeterà.

Il compito di supervisionare e disciplinare il commercio internazionale spetta all’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) conosciuto anche come WTO (World Trade Organization), nato nel 1995, con attualmente ben 157 membri, tra cui anche gli Stati Uniti.

Tra gli obiettivi del WTO vi è proprio quello di ridurre/rimuovere le barriere tariffarie per favorire il commercio internazionale; in buona sostanza la direzione opposta rispetto a quella del protezionismo.

Il WTO ha il compito di arbitrare eventuali contenziosi commerciali.

Ciò potrebbe contenere le decisioni di Trump o potrebbe anche portarlo a uscire dal WTO.

Il protezionismo implica una minor offerta, con conseguente rialzo dei prezzi.

Le aspettative di rialzo dell’inflazione porteranno inevitabilmente ripercussioni alla politica monetaria.

Pertanto, nel breve/medio periodo, sono previsti tuttora nuovi tagli, ma l’entità complessiva si è ridotta.

Tale aspetto riduce i margini di apprezzamento del treasury e favorisce il dollaro.

Scenario che varierebbe con l’arrivo della recessione, che innalzerebbe le attese di taglio dei tassi, favorendo il treasury (peraltro avvantaggiato da probabili flussi in uscita dall’azionario) e sfavorirebbe la valuta americana, risultando meno appetibile.

La recessione è ipotesi ragionevole ma non certa, pertanto resta uno scenario da monitorare.

Nel lungo periodo, in ogni caso, l’attuale politica espansiva sommata al protezionismo, è destinata a portare una nuova impennata inflattiva, coerentemente con quanto visto negli ’70 e negli anni ’40.

Nel frattempo Powell ha abbassato i tassi di un quarto di punto, portandoli a 4,50-4,75%, chiarendo che “nel breve termine le elezioni non hanno alcun effetto sulla nostra politica” e che non lascerà l’incarico nel caso in cui Trump dovesse chiederglielo.

Riccardo Fracasso

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