Il deficit o disavanzo pubblico è l’ammontare della spesa pubblica non coperta dalle entrate, ossia quella situazione in cui le uscite dello Stato superano le entrate.
Il disavanzo è dunque un risparmio pubblico negativo, al contrario del surplus o avanzo pubblico, che è risparmio pubblico positivo (quando le entrate superano le spese); l’avanzo pubblico va distinto dal cosiddetto avanzo primario, che considera la differenza tra entrate ed uscite al netto della spesa per interessi sul debito pubblico.
Anche se il deficit pubblico viene misurato in termini assoluti, indicando il suo ammontare in euro o nella moneta in cui è espresso, gli economisti preferiscono rapportarlo al Pil.
Le voci che formano la spesa pubblica (fonte: wikipedia) sono
Tra le altre voci, wikipedia ci ricorda:
- spesa per servizi pubblici primari o essenziali quali infrastrutture pubbliche e trasporti;
- spesa per i servizi pubblici offerti al cittadino dalla pubblica amministrazione (es. governo, parlamento, ministeri, tribunali, parlamento, regioni, provincie, comuni, aziende sanitarie, comunità montane);
- spesa sociale (spesa per pubblica istruzione, spesa assistenziale (sanità pubblica) e previdenziale (e relativi enti quali INAIL, INPS, INPDAP));
- spesa per armamenti, difesa militare e pubblica sicurezza interna;
- spesa per finanziamento di ricerca e sviluppo scientifico-tecnologico dei rispettivi enti pubblici di ricerca (Università, CNR, ENEA, INFN, INAF, INGV, ecc.);
- spesa per finanziamento, gestione e manutenzione di beni artistici e culturali, proprietà statali ecc.
- spese per eventuali disastri, calamità naturali e ambientali;
- spesa per copertura e interessi sul debito pubblico in scadenza;
- spesa per servizio pubblico radiotelevisivo.
Le principali voci delle entrate sono invece:
-
gettito fiscale;
- lotta all’evasione;
- privatizzazioni,
- utili provenienti da partecipazioni pubbliche;
- sanzioni.
Il saldo negativo tra entrate ed uscite rappresenta il deficit o disavanzo.
La presenza di tale deficit pone la questione della sua copertura.
Questa avviene solitamente con l’emissione di titoli di stato come BOT e CCT, che vanno a costituire il debito pubblico, sul quale lo Stato emittente paga degli interessi che contribuiscono a loro volta alle uscite. In passato si è fatto spesso ricorso all’emissione di moneta, soluzione abbandonata quasi ovunque nel mondo perché ha effetti fortemente inflattivi (vedi inflazione e iperinflazione).
La presenza di un deficit si può attribuire ad un eccesso di spesa (causata da spese inattese o straordinarie, come una guerra o una catastrofe naturale, oppure da politiche economiche di sostegno alla domanda, da scelte politiche finalizzate a creare e mantenere il consenso politico; dall’incapacità o dalla mancanza di volontà di ridurre le spese superflue) e/o a insufficienti entrate(ad esempio politiche fiscali deboli, alta evasione fiscale, bassa crescita economica, che portano nelle casse statali meno denaro di quanto necessario a coprire i costi della pubblica amministrazione).
Keynes, noto economista, attribuisce allo stato il compito di sostenere, quando necessario, la domandadi beni e servizi ricorrendo alla spesa pubblica anche in condizioni di deficit.
Per debito pubblico si intende il debito dello Stato nei confronti di individui privati, imprese, banche o soggetti stranieri, che hanno sottoscritto obbligazioni (quali, in Italia, BOT e CCT) destinate a coprire il fabbisogno finanziario statale ovvero coprire l’eventuale deficit pubblico.
Anche se il debito pubblico è misurato in termini assoluti, indicando il suo ammontare in euro o nella moneta in cui è espresso, gli economisti preferiscono rapportarlo al Pil avendo così più elementi per determinare quante possibilità abbia il Paese di rimborsarlo.
Per cercare di ridurre il rapporto debito/Pil esistono le seguenti strade:
-
Crescita economica sostenuta con aumento del Pil (è l’alternativa migliore ma di certo non sempre attuabile);
-
Default (si dichiara fallimento, come è stato nel dicembre del 2001 per l’Argentina, ma ciò implica logicamente un allontanamento dai mercati creditizi per diversi anni);
-
Piano di risanamento con taglio spesa pubblica, soppressione o riduzione eventuali aiuti, e aumento tasse, in sintesi: crisi economica; la storia, però, insegna che i piani di austerity non sono mai riusciti nel loro intento (diminuire il debito) semplicemente perchè significa togliere risorse ai consumatori, con conseguente crollo delle vendite e delle entrate fiscali;
-
Iperinflazione: si stampa moneta (il cosiddetto processo di ‘quantitative easing’) e la si mette sul mercato utilizzando il canale bancario (con la speranza che gli istituti la distribuiscano alle famiglie ed alle imprese e non la trattengano per i propri investimenti), acquistando titoli di stato in mano ai privati, creando posti di lavoro, ecc. Tale strada può aumentare l’inflazione e quindi il Pil, diminuisce pertanto il rapporto debito/Pil e quindi il valore nominale del debito.Va sottolineato però, che l’aumento dell’inflazione si traduce in costi maggiori e talvolta insostenibili per le famiglie che se messe in crisi ridurrebbero i consumi frenando l’economia e quindi il Pil. L’iperinflazione è quindi una sorta di tassa sulle spalle dei cittadini. Per valutare la reale efficacia di tale strada, è utile guardare il grafico dell’inflazione e quello della velocità di circolazione della moneta. Il debito andrebbe ripianato nei momenti in cui l’economia va bene, di modo da poter affrontare i momenti negativi con bilanci positivi, con margini tali da consentire l’attuazione di piani di stimoli economici. Solitamente ciò non avviene per motivi politici: il governo, per cercare di mantenere le promesse elettorali fatte spesso generosamente, e non generare malcontento posticipa i piani di risanamento a quando la situazione è quasi sempre drammatica e ben più grave di come sarebbe stata nel caso si fosse intervenuti per tempo. La leva del debito, inoltre, è uno strumento utile se genera guadagni superiori al suo costo, altrimenti perde la sua ragion d’essere. Negli Stati Uniti esiste una legge che impone un tetto, un limite massimo di debito (statutory limit on the public o debt ceiling) oltre il quale il governo non può indebitarsi; tuttavia la storia americana insegna che tale limite è stato ripetutamente e costantemente innalzato con una nuova legge che sostituiva la precedente.
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