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Gli ETF (Exchange Traded Funds, letteralmente ‘fondi indicizzati quotati’) sono una particolare categoria di fondi negoziati in Borsa in tempo reale come semplici azioni, attraverso intermediari autorizzati, e caratterizzati da una gestione passiva.
In Italia i primi ETF sono stati lanciati il 30 settembre 2002 sul segmento MTF del Mercato Telematico Azionario.
Per quanto riguarda il mercato europeo degli ETF, i primi strumenti sono stati creati nell’aprile del 2000: le Borse pioniere sono state quella di Francoforte e di Londra, seguite da Zurigo, Stoccolma ed Euronext, mentre il debutto assoluto è avvenuto nel 1993 sull’Amex di New York.
A differenza dei fondi comuni, che valorizzano solitamente a fine giornata, gli ETF sono scambiati nel continuo, proprio come un titolo azionario.
Acquistando un Etf è quindi possibile realizzare la diversificazione tipica dei fondi, senza rinunciare alla tempestività di negoziazione caratteristica delle azioni.
La trattazione in continua degli Etf rende possibile conoscere il valore di mercato del prodotto in ogni istante, a differenza dei fondi comuni di investimento tradizionali il cui valore è fissato una sola volta al giorno, generalmente a fine giornata.
La gestione passiva impone la replica di un indice in maniera non attiva: quando uno dei componenti del benchmark viene sostituito, anche la corrispondente attività finanziaria all’interno del fondo viene sostituita, senza valutazioni in merito alla maggior o minor convenienza.
La replica può essere:
· Fisica: sono acquistati fisicamente i titoli compresi nell’indice di riferimento. La replica fisica, a sua volta, può essere:
o completa (full replication): sono acquistati tutti i titoli dell’indice sottostante;
o a campione: per contenere i costi di negoziazione, è acquistata una sola parte dei titoli (la selezione non è qualitativa, ma predilige i titoli più pensanti e quindi rappresentativi dell’indice); in tal caso lo scostamento dal benchmark è inevitabilmente superiore a quello di una replica fisica.
· Sintetica: è ottenuta tramite uno swap (vedi capitolo SWAP) attraverso il quale viene acquistata la perfomance futura dell’indice di riferimento.
In tal modo l’emittente dell’ETF paga a pronti l’indice ad una controparte che, a termine (quindi in futuro), restituirà il valore futuro dell’indice.
In tal caso l’investitore è esposto al rischio di controparte; tuttavia le normative impongono che tale rischio non possa superare il 10% del NAV, pericolo che comunque l’emittente può coprire ponendo a garanzia dello swap un basket di titoli.
Essendo la gestione di tipo passiva, un eventuale performance superiore a quella del benchmark è da considerare negativamente e non positivamente, poiché significa che l’ETF non ha rispettato il mandato che gli è stato assegnato.
Un indicatore utile in tal senso è il tracking error, che misura lo scostamento di performance di un asset dal benchmark; un’efficiente gestione passiva è accompagnata da un traking error nullo o quanto più vicino allo zero.
La gestione passiva consente, a questa categoria di fondi, commissioni di gestione molto ridotte (sensibilmente inferiori a quelle dei fondi tradizionali e delle Sicav); inoltre non sono previste commissioni di ingresso o performance.
Di contro, una buona gestione dei fondi tradizionali attivi rappresenta una possibilità di sovraperformance rispetto agli ETF.
Pertanto, tra un fondo tradizionale passivo ed un ETF (che è sempre passivo) è preferibile il secondo.
Invece, tra un fondo tradizionale attivo ed un ETF passivo, sarà preferibile il primo se la sua gestione avrà dimostrato negli anni di aver prodotto un surplus tale da giustificare il maggior costo.
Poiché gli ETF sono trattati nel mercato telematico azionario, bisogna tenere conto anche delle commissioni di borsa.
Il gestore degli ETF, in quanto fondi, contabilizza il proprio portafoglio e determina il NAV (net asset value), ossia il valore del portafoglio di titoli di cui è in possesso alla chiusura del mercato di trattazione; tale obbligo è imposto dal regolamento della Borsa Italiana, che stabilisce che il prezzo intraday ha puramente un valore indicativo, e da una circolare ministeriale che prevede che la valorizzazione dei fondi aperti sia calcolata giornalmente sul valore ufficiale dichiarato.
Mentre il NAV è stabilito dal gestore e rappresenta fedelmente il valore del portafoglio sottostante, il prezzo col quale è scambiato giornalmente è determinato dall’incrocio di domanda e offerta.
Solo la presenza sul book del market maker garantisce che il prezzo non si discosti eccessivamente dal reale valore del portafoglio.
Inoltre, è previsto il calcolo dell’iNAV (Indicative Net Asset Value), ossia il valore indicativo del NAV (quindi calcolato sul valore del sottostante e non derivante dall’incrocio di domanda e offerta), in tempo reale, col fine di permettere agli investitori, in ogni momento della seduta, di capire se l’ETF è quotato a sconto (prezzo inferiore all’iNAV), a premio (prezzo superiore all’iNAV) o correttamente valutato.
Solitamente, più un ETF è scambiato e più il suo prezzo corrisponde all’iNAV, mentre in situazioni di scarsa liquidità, la speculazione può creare vistosi scostamenti, contenuti solo dal market maker.
Inoltre, per quanto un market maker possa operare bene, ETF poco liquidi comportano uno spread bid-ask importante, che costituisce un costo per gli investitori.
Sono pertanto preferibili ETF con buoni scambi.
Le modalità di impiego degli ETF possono essere le seguenti:
· Vendite allo scoperto: al fine di prendere una posizione ribassista sull’indice benchmark;
· Trading: al fine di cogliere i momenti di rialzo dell’indice benchmark;
· Investimento di medio/lungo termine: per beneficiare di un eventuale trend favorevole;
· Arbitraggio: al fine di sfruttare momentanee divergenze di prezzo tra la quota del fondo ed il benchmark di riferimento.
I punti a sfavore sono la passività della gestione (se esistono alternative con profittevoli gestioni attive) e la fiscalità che risulta abbastanza complessa e spesso sfavorevole.
Gli ETF si possono distinguere in :
· ETF indicizzati che replicano l’andamento degli indici;
· ETF strutturati, composti dagli ETF che tramite i derivati permettono di prendere posizione al ribasso, e da quelli con effetto leva che, sempre attraverso l’uso di derivati, amplificano sia al rialzo che al ribasso, la performance di un indice.
Gli ETF, in ogni caso, non permettono di prendere posizione in un singolo titolo, ma devono garantire una certa diversificazione.
Il capitale dell’emittente è separato da quello dell’investitore, per cui non sussiste rischio emittente.
Gli ETF possono pagare dividendi, infatti proprio come i fondi comuni si dividono in ETF a distribuzione (con pagamento di dividendi periodici) o ETF ad accumulazione con il reinvestimento dei dividendi.
Gli ETN (Exchange Traded Notes) sono degli strumenti finanziari che, come gli ETF, replicano un indice, ma si distinguono principalmente perché giuridicamente, mentre gli ETF sono considerati fondi, gli ETN sono considerati obbligazioni strutturate.
Pertanto i sottoscrittori diventano creditori dell’emittente, esponendosi al rischio emittente.
Non essendo considerati un OICR non prevedono il calcolo del NAV e relativi redditi da capitale.
Inoltre, non possono distribuire cedole o dividendi.
Nel caso in cui gli ETN replichino un indice di materie prime o anche una sola materia prima, si parla di ETC (Exchange Traded Commodities).
Con il termine ETP (Exchange Traded Products) si intende l’intera famiglia di prodotti ad indice quotati, di cui fanno parte gli ETF ed ETN (tra i quali vi sono gli ETC).
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