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Da diversi giorni i media parlano spesso del MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità , meglio conosciuto come Fondo Salva-Stati.

Si tratta di un’organizzazione internazionale  approvata nel 2011 ed entrata in vigore nel 2012, che ha la funzione di prestare (non donare, sia chiaro) liquidità agli Stati membri dell’Area Euro che ne fanno esplicita richiesta, qualora dovessero trovarsi in difficoltà a reperirla dal mercato.

Tali prestiti, però, sono rilasciati in cambio di riforme molto (eccessivamente) severe, basti ricordare i tagli al welfare imposti alla Grecia.

Il Fondo Salva Stati è alimentato dai Paesi dell’Eurozona proporzionatamente all’importanza economica.

In questi giorni si sta discutendo per l’approvazione di una riforma al MES.

Semplificando, tale riforma imporrebbe agli Stati richiedenti un deficit inferiore al 3% del PIL negli ultimi due anni ed un debito al di sotto del 60% (o almeno una riduzione di 1/20 del debito negli ultimi due anni).

In buona sostanza, Paesi come l’Italia che nemmeno si avvicinano a rispettare la seconda condizione, nel caso in cui dovessero ritrovarsi in difficoltà sarebbero costretti, preventivamente, a ristrutturare il debito per poi poter richiedere l’aiuto al MES.

Per ristrutturazione si intende una riduzione del valore del prestito emesso dallo stato (per esempio i BTP) a svantaggio dei creditori.

Ovviamente l’augurio è che non dovremmo mai chiedere il soccorso del MES, ma nel caso in cui dovesse essere approvata la riforma, il fatto stesso che sia facilitata la possibilità di una ristrutturazione, scoraggerà gli investitori, con conseguente innalzamento dei tassi (che peserà sulle casse dell’Italia) e deprezzamento dei titoli di Stato (che avrà una decisa incidenza sulle banche).

Riccardo Fracasso.

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