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Semplificando il concetto, il Quantitative Easing (QE) è un provvedimento col quale le Banche Centrali creano nuova moneta aumentando il proprio bilancio, col fine di iniettare nuova liquidità sul sistema.

Si tratta di una misura espansiva adottata qualora il taglio dei tassi non sia sufficiente.

Un provvedimento straordinario che, a dir il vero, nell’ultimo decennio è diventato quasi normalità.

Ricordando che a provvedimenti straordinari corrispondono crisi straordinarie, si giunge a capire quanto la situazione economica americana, dietro una facciata di apparente forza, sia sempre più fragile e incapace di correre in modo autonomo.

A inizio novembre la Federal Reserve ha avviato il tapering, la riduzione del QE, la cui conclusione inizialmente era prevista per giugno per poi essere anticipata, invece, a marzo.

Ora è bene chiarire un punto.

Per riduzione del QE non si intende riduzione della liquidità ma del ritmo di nuova liquidità iniettata; in altre parole, col tapering la liquidità continua a salire ma a un ritmo meno veloce.

A dimostrazione di quanto scritto, il grafico del bilancio della FED aumentato anche durante il tapering:

Al termine del QE la Banca Centrale può decidere di continuare a reinvestire i rimborsi dei tresury arrivati a scadenza per acquistare nuove emissioni, reimettendo quindi la liquidità nel sistema, mantenendola inalterata.

Il cambiamento più significativo, invece, si ha con la riduzione del bilancio della Banca Centrale, quando oltre a concludere il QE, smette di reinvestire il denaro proveniente dai trequry in scadenza e/o vende parte dei titoli in portafoglio.

Si passa quindi dal Quantitative Easing (alleggerimento quantitativo) al Quantitative Tightening (inasprimento quantitativo).

Pertanto, è solo in tal caso che viene drenata liquidità al sistema, e se l’iniezione favorisce i mercati finanziari (e marginalmente anche l’economia), conseguentemente la riduzione non può che rappresentarne elemento notevolmente sfavorevole.

Proprio questa settimana sono stati resi noti i verbali dell’ultima riunione del FOMC (braccio operativo della FED), nei quali si afferma che “è probabilmente appropriata una riduzione significativa delle dimensioni del bilancio”.

Sempre dai verbali, in riferimento al QT, si evince che comincerà dopo l’inizio del processo di aumento dei tassi di interesse atteso con la riunione del 16 marzo.

Se da una parte è vero che i tassi a zero danno potenzialmente molto spazio di manovra alla FED per interventi restrittivi, dall’altra è altrettanto vero che ogni singolo rialzo rappresenta un costo esorbitante per il rifinanziamento dell’enorme debito statunitense.

Motivo per cui è lecito ipotizzare che la Banca Centrale statunitense inasprirà la propria politica monetaria più con la riduzione del bilancio (QT) che con l’aumento dei tassi che, quindi, si rivelerà inferiore rispetto alle aspettative (rialzo di 1,5%-1,75% entro fine anno).

Si tratta di ragionamenti a voce alta, perché ovviamente s’è consapevoli di non poter prevedere con certezza le mosse della FED.

Riccardo Fracasso

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