Considerato il (comprensibile) gran parlare che sta facendo nelle ultime settimane, ricerchiamo le cause del recente crollo del petrolio.
Grafico:
Dal grafico possono distinguersi 4 fasi per il petrolio:
- l’inarrestabile rialzo a partire dal 1998 al 2008, favorito da una forte crescita economica mondiale e dalla decisione dei Paesi produttori di ridurre l’offerta per alzare i prezzi;
- l’impressionante crollo del 2008 dovuto ad un imponente calo della domanda, causata dalla fortissima crisi economica mondiale di quel periodo;
- il recupero inizialmente deciso e successivamente più insicuro, favorito dalla ripresa economica;
- il crollo verticale degli ultimi trimestri legato all’aumento della produzione principalmente da parte dell’Arabia Saudita (il maggior produttore al mondo).
Ed è da quest’ultimo punto che partiamo.
Dopo decenni contraddistinti da continui tagli della produzione finalizzati ad innalzare i prezzi del petrolio, il recente aumento della produzione così deciso rappresenta un evento raro ed apparentemente incomprensibile.
Per capire il vero motivo dietro a tale decisione è necessario prima spiegare cos’è lo ‘Shale oil’.
Si tratta del cosiddetto petrolio non convenzionale, quel petrolio che si estrae in modo diverso da quello tradizionale e che può presentare caratteristiche diverse.
Gli Stati Uniti, pur essendo il terzo produttore al mondo del petrolio tradizionale, non sono mai stati completamente autosufficienti ed hanno sempre dovuto importare grandi quantitativi di petrolio, subendone (come peraltro l’Europa) l’enorme peso dei continui rincari.
E’ per questo motivo che negli ultimi anni hanno aumentato notevolmente la produzione dello shale oil, che rappresenta una valida alternativa al petrolio tradizionale.
Un’autentica rivoluzione.
Il difetto dello shale oil è rappresentato dal costo estrattivo piuttosto elevato; pertanto, la produzione resta conveniente se il prezzo del greggio resta al di sopra di determinati livelli di prezzo.
Negli ultimi mesi l’Arabia Saudita, sostenuta dalla Russia (secondo produttore al mondo), per fermare le continue perdite di quote di mercato a causa dell’ascesa dello shale oil, ha preso una decisione molto forte: aumentare la produzione del petrolio riducendone i prezzi e mettendo in seria discussione la convenienza dello shale oil e, quindi, delle imprese del settore.
Ovviamente il calo del prezzo del petrolio rappresenta una perdita importante per le casse dell’Arabia Saudita ma, evidentemente, considerata inferiore rispetto alla continua perdita di quote di mercato causata dallo shale oil.
Tra i possibili scenari futuri a questa situazione ne immagino due:
- questa fase porterà al forte ridimensionamento o alla totale conclusione dell’esperienza dello shale oil;
- questa fase si rivelerà essere il passaggio definitivo ad un mercato più efficiente grazie ad una maggiore concorrenzialità, con prezzi più contenuti rispetto a quelli visti in passato.
Ovviamente l’auspicio è che si avveri la seconda ipotesi.
In questo contesto l’Europa sembra partecipare in modo passivo, priva di forza.
Dal punto di vista squisitamente grafico, il prezzo è sempre più vicino al supporto in area 62 dollari, che potrebbe rappresentare un valido ostacolo al calo in corso.
Riccardo Fracasso
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