La IMD è una business school (scuola d’affari) che, tra l’altro, dal 1989 pubblica annualmente, a Maggio, il World Competitiveness Yearbook (WCY), una classifica sulla competitività di 60 Paesi tra i più importanti al mondo.
Difatti, i risultati di un’impresa non dipendono esclusivamente dalla propria qualità, ma anche dal contesto nel quale esse operano.
Fino al 1996 erano stese due graduatorie (economie avanzate ed economie emergenti), ma dal 1997, col processo della globalizzazione, s’è deciso di unificarle.
Il WCY è considerato il punto di riferimento mondiale sulla competitività delle nazioni, tant’è che è utilizzato dalle aziende (per determinare gli investimenti), dai Paesi (per stabilire le politiche da attuare) e dagli studiosi (per apprendere ed analizzare).
Esso esamina la capacità delle nazioni di creare e mantenere un ambiente in cui le imprese possano competere.
Sono oltre 300 i parametri presi in considerazione dal WCY tra i quali ricordo alcuni tra i più importanti: la valuta, il mercato del lavoro, la pressione fiscale, la capacità produttiva del tessuto economico, le infrastrutture, gli investimenti, l’istruzione, un ceto medio numeroso, la burocrazia, la qualità della vita, la presenza nel territorio di materie prime, il patrimonio culturale, l’efficienza del governo, l’ambiente, la salute, il livello dell’inflazione, la demografia, la ricerca e l’innovazione, la diversificazione, la coesione sociale, ecc.
Già dopo aver letto questi criteri, ci si può fare un’idea su come l’Italia possa esser classificata.
Ecco la classifica diffusa pochi giorni fa dall’IMD:
Altri dati:
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gli Stati Uniti mantengon0 il primato riconquistato l’anno passato;
- il primo Stato Europeo è la Svizzera (2°), il primo dell’Unione Europea è la Svezia (5°) ed il primo dell’Area Euro è la Germania (6°), tutti Paesi il cui successo si basa sulle esportazioni e su economie diversificate;
- nessun Paese tra i BRIC rientra tra i primi 20 posti;
- come l’anno scorso, tra i Paesi emergenti quelli dell’America Latina perdono ulteriormente competitività;
- non è quindi un caso che la peggiore discesa sia di un Paese dell’America Latina, il Messico che perde ben 9 posizioni (dal 32° posto al 41°);
- il miglioramento più significativo è di 6 posizioni e riguarda l’Estonia (dal 36° al 30°) e la Spagna (dal 39° al 45°);
- l’Italia scende ulteriormente occupando il 46° posto della classifica, perdendo 2 posizioni dal 2013 (era al 44°), 7 dal 1997 (era al 39°) e addirittura 17 dalla sua migliore postazione (29° nel 1999).
Riccardo Fracasso
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