From the daily archives: sabato, Maggio 19, 2012

Sedetevi comodi, che mi dilungherò oltre il solito, ma ritengo che la situazione attuale lo richieda.

Come di consuetudine, partiamo subito col grafico del Ftse Mib:

Grafico nr. 1

Il nostro indice ha chiuso la seduta a 13.049, registrando un -0,31.

Il bilancio settimanale è pari ad un pesantissimo -7,09%.

Andiamo ora ad osservare ciò che rappresenta l’unico elemento potenzialmente positivo a livello tecnico:

Grafico nr. 2

Abbiamo una candela verde (quindi con chiusura superiore all’apertura) ed una chiusura negativa.

Tali candele sono rare e talvolta indicano un falso segnale negativo; tuttavia, sarebbe finanziariamente scorretto attuare una strategia rialzista basandola unicamente su questo elemento che, più che altro, ci suggerisce di valutare se v’è o meno l’esistenza di qualche altro segnale positivo che possa avvalorare un’ipotesi rialzista.

Passiamo ora al grafico delle ultime sedute:

Grafico nr. 3

Tutti e tre i trend (breve, medio e lungo) sono ovviamente impostati al ribasso.

La settimana scorsa avevamo indicato come elemento positivo il fatto che il ribasso, nel suo incedere, s’era arrestato nei pressi dell’area supporto situata intorno ai 13.610 punti; oggi siamo a raccontare non solo la perforazione di tale soglia ma anche la discesa del nostro indice al di sotto del supporto successivo a 13.100-13.200.

La distanza tra tale livello (13.100-13.200) ed il valore attuale del mib (13.049) ci vieta però di parlare di rottura convinta ma, per il momento, di semplice sforamento.

Tuttavia, le condizioni attuali rendono assai probabile che di questo si possa parlare già a breve.

Fin qui s’è parlato esclusivamente di analisi tecnica che, spesso (non sempre), ci fornisce indicazioni molto utili.

Nella situazione attuale, però, potrebbe aver più senso fare delle considerazioni di natura prettamente economica.

Innanzitutto, il motivo del crollo di questa settimana è stato provocato dal mancato accordo tra i partiti della Grecia per la formazione di un governo tecnico; ciò sta a significare nuove elezioni a giugno.

E dove sta il problema? semplice, con un nuovo governo viene rimesso in discussione il piano di austerity che, ricorderete, è condizione imprescindibile per il rilascio del secondo pacchetto di aiuti che l’UE ha approvato alla Grecia (finora è stata erogata solo la prima tranche).

I sondaggi parlano di una larga maggioranza (circa 80%) dei cittadini greci che è contraria all’uscita dall’Area Euro, ma al contempo evidenziano pure che la coalizione politica pro-euro appare sfavorita rispetto a quella che vorrebbe il ritorno alla dracma.

Sono dati contraddittori ma, se si pensa bene, è lecito pensare che i cittadini greci, seppur volendo ancora rimanere nell’Area Euro, non vogliano più esser guidati da un governo che finora non ha fatto altro che svenarli.

Purtroppo per loro, al momento una cosa sembra escludere l’altra e appare sempre più concreta l’ipotesi di un’uscita dall’Euro.

Tale scenario è inoltre avvalorato dalle seguenti dichiarazioni di questa settimana:

  • Christine Lagarde (direttore operativo del Fondo Monetario Internazionale): “l’uscita della Grecia dall’area euro è una delle molteplici opzioni alle quali guardiamo tecnicamente ma questo non significa che sia l’opzione auspicabile”;
  • Karel De Gucht (commissario europeo al Commercio): “L’Europa e la Bce hanno già pronto un piano B di salvataggio nel caso la Grecia esca dall’euro”.

Non era mai successo che esponenti di organizzazioni internazionali parlassero dell’ipotesi dell’uscita dall’Area Euro da parte della Grecia e questo la dice lunga sulla situazione attuale.

Ma cosa provocherebbe l’uscita dall’Euro da parte della Grecia?

In primo luogo è bene sottolineare che questo scenario con ogni probabilità significherebbe anche default totale (o quasi) di tutti i creditori.

Detto ciò, è bene distinguere le conseguenze a seconda dei protagonisti.

Grecia:

  • ritorno alla dracma;
  • forte svalutazione della dracma;
  • consistente aumento dell’inflazione dovuta alla svalutazione;
  • impossibilità, a causa del default, di accedere al mercato del debito per molti anni (situazione che comunque non è poi così diversa da quella attuale);
  • probabile azzeramento degli aiuti da parte dell’Area Euro.

Tuttavia, non mancherebbero gli aspetti positivi:

  • la svalutazione favorirebbe le esportazioni;
  • il debito sarebbe ridotto col default: tale aspetto, seppur possa sembrare ingiusto nei confronti dei creditori, lo è molto meno di quanto si sta facendo subire da molti mesi ai poveri cittadini greci. Chi acquista un’obbligazione (nel caso specifico un titolo di Stato) lo fa consapevole (o perlomeno dovrebbe saperlo) della presenza di un rischio. Tartassare i cittadini e ridurre i servizi pubblici vuol dire far loro ricadere un rischio che altri han deciso di correre. Ovvio che entro certi limiti è bene seguire quest’ultima strada, ma non si può calpestare la gente;
  • la Grecia tornerebbe a gestire autonomamente la propria politica monetaria.

Passiamo ora alle conseguenze che subirebbero gli altri protagonisti:

  • il probabile default totale toglierebbe quel poco (25% del valore nominale) che è stato recentemente concesso ai creditori privati (in particolare banche) in possesso dei titoli di Stato emessi dalla Grecia;
  • il default a questo punto non guarderebbe in faccia nessuno, colpendo anche chi nel recente accordo di svalutazione non era stato penalizzato. Mi riferisco in particolar modo alla Bce, che negli ultimi anni ha acquisito ingenti somme di titoli greci, al fine di sostenerli nei momenti di difficoltà. Chi ci legge da diverso tempo non potrà che confermare che in questi mesi abbiamo ripetuto in diverse occasioni che se addirittura un’organizzazione internazionale, quale la Bce, dovesse entrare in difficoltà sarebbe una catastrofe; i mercati sono fortemente influenzati dalla fiducia, fiducia che precipiterebbe ulteriormente nel momento in cui persino i bilanci della Bce dovessero presentare minusvalenze molto consistenti;
  • il rischio contagio: la situazione di diversi Paesi dell’Area Euro (tra cui la nostra Italia) è molto fragile; l’uscita della Grecia creerebbe un precedente, e gli investitori, giustamente, inizierebbero a pensare che potrebbe non rimanere un caso isolato. Sono alquanto scettico della capacità di tranquillizzare gli investitori da parte dei vari esponenti con dichiarazioni rassicuranti che sicuramente faranno, visto che stiamo parlando di quelle stesse persone che quando la Grecia chiese aiuti si affrettarono a dire che era un caso isolato (ricordiamo che seguirono l’Irlanda ed il Portogallo), o che dissero che la Grecia non sarebbe mai uscita dall’Euro.

Qualcuno potrebbe sottolineare che di positivo c’è che i Paesi della’Area Euro finirebbero perlomeno di spendere soldi per aiutare la Grecia: è vero, ma visto i punti elencati precedentemente molti più soldi dovrebbero esser utilizzati per gli altri Stati.

Ne esce un quadro che, seppur negativo, appare molto meno penalizzante per la Grecia che per gli altri Paesi dell’Area Euro o per la Bce stessa.

Ciò premesso, v’è da ricordare che negli ultimi anni ogni volta che s’è arrivati ad un punto di rottura (per punto di rottura intendo un punto oltre il quale v’è il baratro) qualche intervento più o meno importante è stato fatto.

Ricordiamo il piano TARP degli Stati Uniti, la QE1 e la QE2, la riduzione dei tassi da parte delle banche centrali, gli interventi congiunti da parte delle banche centrali, le numerose dichiarazioni rassicuranti (che spesso sapevano di presa in giro) da parte dei vari esponenti, le due operazione LTRO che hanno fornito liquidità a molte banche europee, ecc.

Ora è indiscutibile che siamo giunti ad un punto di rottura; ci troviamo in una situazione in cui, a mio avviso, le parole non bastano per calmare le acque.

E’ impossibile sapere cosa verrà fatto, ma l’importante è sapere che probabilmente (non v’è certezza) qualcosa sarà fatto, e a breve termine.

Il fatto che proprio recentemente sia stato evidenziato che l’inflazione nell’Area Euro sia sotto controllo rafforza l’ipotesi di un taglio di tassi da parte della Bce.

Non so se questo sarebbe sufficiente…non credo.

Potrebbe esserci dell’altro di più importante; tutte le volte che nel passato ciò è avvenuto, abbiamo assistito a rimbalzi, più o meno duraturi ma molto vistosi, in particolare per i listini più colpiti dalle vendite in queste settimane (tipo il nostro).

Ieri Trichet, ex presidente della Bce, al G8 che si sta tenendo a Washington, ha proposto un piano in base al quale  in caso di inadempienza di un Paese europeo alle raccomandazioni della Commissione e del Consiglio Ue, subentra un governo federale d’emergenza che prende il posto ed i poteri di quello del Paese interessato.

Diciamo che questa situazione potrebbe calmare un pò le acque, ma non certo risolvere i problemi visto che le uniche indicazioni che gli esponenti dell’Area Euro sono state quelle di ridurre il debito tramite l’austerità; la Grecia insegna che l’austerità non porta alla riduzione del debito, ma che anzi lo aumenta, perchè le manovre tagliano le risorse ai consumatori il che porta alla riduzione delle vendite e, conseguentemente, delle entrate fiscali.

A parte il ragionamento economico, trovo eticamente inconcepibile che si possa arrivare ad un punto in cui ad uno Stato dell’Area Euro sia sottratto il diritto di uscirne e che sia imposto un governo non suo.

Il solo discuterne mi porta a credere che siamo tornati indietro di secoli, quando si imponevano le idee con la forza e non ci si limitava a consigliarle.

Ovvio che la partecipazione a qualsiasi unione, specialmente se monetaria, implichi il trasferimento di una parte della sovranità degli Stati aderenti all’unione stessa, ma inaccettabile che a governare non sia la maggioranza votata dai cittadini del Paese in questione.

Riccardo Fracasso

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