Giusto in un post della scorsa settimana, esaminando l’inflazione, si scriveva così:
“Da questo grafico è possibile notare come in passato la recessione abbia sempre rappresentato un male necessario per soffocare l’inflazione, in particolare quelle più corpose.”.
Sempre la scorsa settimana:
“Se da una parte è doveroso sottolineare come al momento sia assente un indispensabile segnale (inversione rialzista della disoccupazione), dall’altro sia l’analisi della curva dei rendimenti che dell’inflazione ci prospettano uno scenario recessivo.
Quando giungerà il segnale dal mercato del lavoro, il quadro sarà completo.”.
Martedì, a fronte di un’inflazione piuttosto resistente, Powell ha dichiarato che “gli ultimi dati economici sono stati più forti del previsto, il che suggerisce che il livello finale dei tassi di interesse sarà probabilmente più alto di quanto previsto in precedenza”, parole che hanno innescato ulteriori vendite sui mercati finanziari.
Inoltre, il presidente della Banca Centrale degli Stati Uniti ha affermato che “potrebbe essere necessario un indebolimento del mercato del lavoro per far scendere l’inflazione nel settore dei servizi”.
Tra ottobre e gennaio i mercati non avevano evidentemente dato importanza a tale ipotesi, mentre da qualche settimana si ritrovano a fare i conti con un pivot potenzialmente più alto e distante nei tempi rispetto alle aspettative e con la necessità di un indebolimento economico annunciato dallo stesso governatore della FED.
Si ricorda che qualsiasi forma di rallentamento/recessione implica un calo complessivo degli utili, elemento centrale per la valutazione delle azioni.
Riccardo Fracasso
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