Riprendiamo, per approfondire, un tema già trattato in passato: investing e trading.

Nell’immaginario collettivo l’elemento che differenzia tali operatività è rappresentato dalla durata delle operazioni.

Nella realtà, il principale aspetto distintivo sta alla base: per l’investitore il fattore valore è estremamente rilevante, mentre il trader segue il segnale, indipendentemente dal valore.

Ne deriva una durata delle operazioni di investimento solitamente più estesa di quelle di trading, per cui le prime richiedono orizzonti temporali lunghi.

La differente durata, pertanto, è semplice conseguenza del vero elemento distintivo: il valore, per l’appunto.

Inoltre, seppur rari, ci sono casi in cui un’operazione di investimento è chiusa rapidamente (grazie a riapprezzamenti molto veloci che portano in tempi stretti al target) od operazioni di trading abbastanza lunghe.

Ad ogni buon conto, l’investitore può essere visto come un cacciatore di valore, valore stabilito in funzione del prezzo e delle prospettive.

Un prezzo può anche esprimere sottovalutazione in un preciso momento, ma il quadro generale indicare scenari futuri non rosei che rendono meno conveniente l’asset.

Pertanto, il prezzo rappresenta variabile estremamente importante, ma che va contestualizzata e valutata all’interno di un insieme di elementi più ampio.

Il rialzo della borsa americana avviato dai minimi di ottobre, peraltro in presenza di livelli di sopravvalutazione, sconta aspettative alquanto positive, ‘festeggiando’ un pivot meno alto del previsto.

D’altro canto, lo scenario che sta prendendo corpo da qualche settimana è quello di una stretta creditizia che implica, tra l’altro un calo generalizzato degli utili.

In altre parole, non solo i prezzi non sono convenienti in base al contesto attuale, ma lo sono ancor meno in vista di uno scenario futuro che rischia d’essere complicato.

Riccardo Fracasso

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