Questo post prettamente didattico per fare un pò di chiarezza sul ‘burden sharing‘, termine di grande attualità.
La direttiva europea BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) disciplina le risoluzioni delle banche in difficoltà.
Tale direttiva è nata con lo scopo di sostituire il bail out (‘salvataggio esterno’) attraverso meccanismi di condivisione degli oneri, alleggerendo così il peso sulle spalle degli Stati che in un recente passato causò decisi incrementi del debito pubblico.
Di seguito, quanto scritto nel sito della Banca d’Italia:
“La normativa in vigore fino alla fine del 2015 permetteva l’applicazione del cosiddetto burden sharing: in caso di dissesto di una banca era previsto che prima del coinvolgimento di fondi pubblici venisse attuata la riduzione del valore nominale delle azioni e delle obbligazioni subordinate (o la conversione in capitale di queste ultime).
Dal primo gennaio di quest’anno è invece entrato in vigore il cosiddetto bail-in …”.
Tuttavia, il burden sharing (dall’inglese ‘ripartizione degli oneri’) non è andato completamente in pensione perchè è tuttora applicabile alle banche solventi ma che sono state bocciate agli stress test (Banca MPS), a maggior ragione se sistemiche.
Pertanto, nel caso di istituiti insolventi non è applicabile tale procedura ma il bail in (motivo per il quale per MPS i tempi sono stretti se si desidera evitare soluzioni più pericolose).
Infatti, mentre il burden sharing prevede la condivisione degli oneri con i titolari di azioni ed obbligazioni subordinate, nel caso del bail in (‘salvataggio interno’) la contribuzione può coinvolgere anche i bond senior ed i conti (per le eccedenze oltre i 100 mila euro).
In buona sostanza, il burden sharing è una procedura che non può andare in profondità come il bail in ma, come detto, prevede la condivisione degli oneri con azionisti e creditori subordinati.
Nel novembre del 2015 il burden sharing fu applicato a 4 banche italiane (Etruria, Marche, Cariferrara e Carichieti) con l’azzeramento delle azioni e dei titoli subordinati.
Per quanto concerne MPS, non ne è ancora chiara l’esatta applicazione, anche se si parla, tra l’altro, di una conversione forzosa per quanto riguarda almeno una parte di titoli subordinati retail.
Ad ogni buon conto, interessante quanto scritto sempre da Banca d’Italia:
” In base alla BRRD e alla normativa italiana, nel caso di una procedura di risoluzione l’entità della riduzione di valore e l’eventuale conversione delle obbligazioni subordinate in azioni della banca non dipendono da scelte discrezionali dell’Autorità di Risoluzione, ma dall’entità delle perdite, determinata in base a precise modalità e criteri di valutazione stabiliti dalla BRRD.
Secondo quanto previsto dalla normativa, infatti:
l’Autorità di Risoluzione deve, innanzitutto, ridurre il valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate finché ci sono perdite della banca da coprire; ne consegue che se le perdite superano quel valore, esso dovrà essere azzerato;
solo se le perdite sono inferiori al valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate, l’Autorità di Risoluzione prima riduce, in sequenza, il valore di azioni e obbligazioni subordinate nella misura necessaria a coprire le perdite e, a seguire, dispone la conversione del valore residuo delle obbligazioni subordinate in azioni della banca, nei limiti necessari per assicurare il rispetto dei requisiti prudenziali. Nel caso delle quattro banche messe in risoluzione in novembre, le perdite di ciascuna banca erano superiori al valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate; per questa ragione le azioni e le obbligazioni subordinate sono state sacrificate per l’intero ammontare del loro valore. Le perdite ulteriori sono state coperte dal Fondo di Risoluzione.”
Da valutare quindi l’entità della perdita da coprire, fortemente legata all’esito della cessione dei crediti inesigibili.
Ad ogni modo, se, come sembra sempre più probabile, burden sharing sarà, lo Stato entrerà con l’intenzione di risanare e poi rivendere (modello USA).
Riccardo Fracasso
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