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Dexia è un’importante banca franco-belga, il cui portafoglio è composto da un’impressionante percentuale di obbligazioni emesse da Stati in difficoltà (in particolar modo dalla Grecia, ma anche dal Portogallo, dall’Irlanda e dalla nostra Italia) e da molti titoli tossici.
Grazie alla modifica della IAS 39 (13 ottobre 2008), Dexia negli ultimi anni ha potuto contabilizzare tali investimenti al prezzo di acquisto e non al prezzo di mercato.
E’ come se un investitore che detenesse in portafoglio azioni delle Tiscali acquistate nel 2001 le valutasse al prezzo di 10 anni fa e non a quello attuale che, tutti sanno, è decisamente inferiore.
Tuttavia, a fine estate Dexia ha deciso di svalutare una parte del proprio portafoglio, mettendo alla luce un problema che prima non era mai stato considerato e che, in tempi non sospetti, avevo sottolineato (vedi chech up del 17 dicembre 2010).
Non è certo bendandosi gli occhi che i problemi scompaiono.
A questo punto il mercato, resosi conto che l’intero sistema bancario non era poi così solido come negli ultimi anni si era voluto far credere, ha dato il via ad un’ondata di vendite.
Solo recentemente le stesse azioni hanno violentemente rimbalzato sulle voci, sempre più concrete, di una ricapitalizzazione delle banche, attraverso, molto probabilmente, il Fondo Salva Euro, che in tal caso dovrà esser inevitabilmente allargato.
In merito a tale intervento, troverete le mie considerazioni all’interno dell’articolo ‘IL FONDO SALVA EURO: UN FRAGILE CASTELLO DI SABBIA’ pubblicato il 10 ottobre.
Ma torniamo a Dexia.
La banca ha accettato di esser in parte smembrata e venduta e, per la parte belga, nazionalizzata.
La Francia, indaffarata a difendere la sua AAA, sempre più a rischio declassamento, si è limitata ad offrire delle garanzie.
D’altro canto è bene evidenziare che i bilanci del Belgio non sono certo invidiabili, e l’esborso per la nazionalizzazione non possono che indebolirli ulteriormente.
A questo punto dovrebbe far riflettere il fatto che Dexia, non più di tre mesi fa, in occasione degli stress test del 15 luglio 2011, non solo fu promossa ma risultò persino l’istituto meglio capitalizzato tra i 90 esaminati, con un core tier pari al 10,4%.
A chi ancora ritenesse affidabili gli stress test ricordiamo che i primi, quelli del luglio 2010, videro promosse a pieni voti alcune banche irlandesi che, dopo poco, dovettero esser salvate dallo Stato.
Ad ogni modo, gli esponenti della banca franco-belga, orgogliosi del risultato conseguito, gonfiando il petto dissero: ‘Il nostro Core tier one è stato calcolato al 10,4% contro un minimo richiesto del 5%. La solidità del capitale ci consentirà di affrontare senza problemi il futuro anche in caso di corto circuiti sui debiti sovrani‘…da non crederci.
Il core tier 1, ossia il capitale ad alta qualità, quello che può esser rapidamente smobilizzato per poter fronteggiare una eventuale crisi.
Ma se ad esser considerati capitale ad alta qualità sono persino i titoli greci o comunque di Stati in seria difficoltà, e tali emissioni sono contabilizzate al prezzo di acquisto e non a quello reale, ovvio che qualcosa non quadra ed il fatto che gli esaminatori degli stress test non abbiano voluto considerare questo aspetto, pur conoscendolo molto meglio di chiunque altro, ci fa capire che l’intenzione delle autorità non è quella di garantire la trasparenza ma quella di voler ritardare un crollo.
Persino Ackerman, presidente della Deutsche Bank, recentemente ha affermato che ‘Non è un segreto che numerose banche europee non sopravviverebbero se dovessero valutare i Titoli di Stato che hanno in bilancio ai prezzi di mercato’…spaventoso.
E tra gli istituti che più di tutti presentano nei propri bilanci crediti a forte rischio, vi sono quelli di Francia e Germania.
L’Irlanda insegna come anche un Paese modello possa ritrovarsi improvvisamente ridotto a chiedere di esser salvato a causa di un settore bancario malato.
La Germania, lo Stato più solido all’interno di Eurolandia, presenta quindi aspetti che lo rendono assai più vulnerabile di quanto si creda.
La Germania stessa (mi riferisco allo Stato e non alle banche private) è la maggior creditrice di titoli greci ed ha sottoscritto molte altre emissioni di Paesi in difficoltà.
Tornando alle banche è molto significativo il seguente grafico:
Esso rappresenta l’andamento dei depositi delle banche estere (in gran percentuale composto da quelle europee) presso la Federal Reserve.
Come si può osservare nel 2011 i depositi si sono impennati superando addirittura il picco del 2008.
Che significa?
Significa che gli istituti finanziari non si fidano ne di finanziare i privati ne di prestarsi i soldi reciprocamente.
In parole semplici, le banche non si fidano delle banche e preferiscono depositare la propria liquidità presso la Federal Reserve (o anche la Bce) anche se ciò comporta una remunerazione considerevolmente inferiore.
E’ bene sottolineare che si sta generalizzando il concetto, perchè nel sistema esistono anche banche sane.
Come si può notare dal grafico, nell’ultimo mese il fenomeno è in parte rientrato e ciò lo si deve all’ipotesi di una ricapitalizzazione del settore bancario, ma, a mio parere, è solo la cosiddetta ‘quiete dopo la tempesta’.
Sarà bene tenere a disposizioni ombrelli piuttosto solidi.
Riccardo Fracasso
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