Rispettando le attese, mercoledì Powell ha annunciato il rialzo dello 0,75% dei tassi della FED, il quinto rialzo da inizio anno, il terzo consecutivo di questa portata.
Complessivamente i tassi sono passati da 0-0,25% agli attuali 3-3,25%.
Powell ha confermato la linea della FED comunicata il mese scorso a Jackson Hole.
Quindi lo scopo principale resta quello di riportare l’inflazione al 2%, obiettivo che senza tanti giri di parole Powell ha ammesso si otterrà in modo ‘doloroso’, e che necessita di ‘indebolire il mercato del lavoro’.
D’altra parte, il contenimento dell’inflazione, seppur perseguito nell’immediato tramite l’indebolimento del mercato del lavoro, è finalizzato a salvaguardarlo nel lungo termine.
L’errore della Banca Centrale americana è stato il ritardo col quale si è resa conto che si trattava di un rialzo dell’inflazione duraturo e non transitorio.
Interventi più tempestivi sicuramente non avrebbero evitato il rialzo dell’inflazione ma, probabilmente, l’avrebbero contenuto.
Ora le attese per fine anno sono di un altro punto percentuale in più, che porterebbe il livello a 4-4,25%.
Tutto ciò suggerisce a delle riflessioni che condivido.
Poiché l’analisi storica dei mercati evidenzia come la borsa americana riparte solo dopo cali consistenti dei tassi, a meno di improbabili stravolgimenti della strategia monetaria della FED, ci sono buone possibilità che l’inversione rialzista è rimandata al prossimo anno.
Inoltre, da un mio studio pubblicato nel check up di maggio, è emerso che i principali punti di svolta sono segnati tra ottobre e aprile.
Unendo i puntini, quindi, attendiamo l’inversione nella prima parte del prossimo anno, preceduta da mesi difficili, in cui dovremmo assistere a quell’impennata di volatilità che finora è mancata.
Riccardo Fracasso
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