From the daily archives: venerdì, Giugno 11, 2010

La massa monetaria: è la quantità di moneta in circolazione; è auspicabile che essa sia alta nelle fasi di rallentamento economico e bassa in quelle inflazionistiche ed è suddivisibile in:

·  M0 (o base monetaria), che comprende la moneta legale, ossia le banconote e le monete metalliche che per legge devono essere accettate in pagamento, e le attività finanziarie convertibili in moneta legale rapidamente e senza costi, costituite da passività della banca centrale verso le banche (e, in certi paesi, anche verso altri soggetti);

·  M1 (o liquidità primaria), che comprende M0 più tutte le altre attività finanziarie che come la moneta possono fungere da mezzo di pagamento, ossia i conti correnti (bancari e postali);

·   M2 (o liquidità secondaria), che comprende M1 più tutte le altre attività finanziarie che, come la moneta, hanno elevata liquidità e valore certo in qualsiasi momento futuro; secondo la definizione della Banca Centrale Europea, esse comprendono i depositi vincolati fino a due anni e i depositi rimborsabili con preavviso fino a tre mesi.

·   M3, che comprende M2 più tutte le altre attività finanziarie emesse da varie istituzioni finanziarie monetarie con un alto grado di liquidità e di certezza del prezzo: secondo la Banca Centrale Europea, ne fanno parte le quote o partecipazioni nei fondi comuni monetari, le operazioni pronti contro termine e le obbligazioni bancarie con scadenza fino a due anni.

L’analisi monetaria della Banca Centrale Europea pone attenzione soprattutto all’M3, mentre la Federal Reserve all’ M2 (ha smesso di pubblicare l’aggregato M3 nel 2006, non ritenendolo più informativo di M2).

Di seguito un grafico  della M1 e della sua crescita percentuale di anno in anno (un’inclinazione negativa non significa necessariamente che la  massa monetaria sia in calo; la curva, solo in caso di discesa sotto lo zero, indica  una riduzione della massa monetaria rispetto al valore di un anno prima):

Un tasso di crescita dell’M1 in calo indica il rallentamento della crescita della massa monetaria,  aspetto sfavorevole per i mercati (nel 2000-2001 il minimo della M1 ha coinciso con l’inizio del crollo dei mercati finanziari).

Una M3 in calo implica invece che gli investimenti sono realizzati su scadenze superiori a 24 mesi; l’M3 funge da indicatore di inflazione.

L’aumento della M1, di norma, si ottiene attraverso la Quantitative Easing (QE), che è il processo col quale le Banche Centrali creano nuova moneta.

Viene pertanto allargata la massa monetaria.
Le banche centrali ricorrono a tale strategia quando i tassi d’interesse sono prossimi allo zero ed i margini per stimolare l’economia sono molto limitati.
Pertanto, tale processo, è attuato nelle fasi di forte emergenza.
La Federale Reserve, per esempio, con tale pratica stampa nuove banconote per sottoscrivere nuove emissioni di Treasury (Buoni del Tesoro statunitensi).
Lo Stato, a questo punto,  utilizza l’importo per operazioni atte a stimolare l’economia (per es. la costruzione di infrastrutture con conseguente nascita di nuovi posti di lavori).
Qualsiasi sia l’utilizzo, il denaro, alla fine del suo percorso, viene depositato presso le banche.
E’ proprio a questo punto che si decide la partita.
Se gli istituti finanziari, a fronte della maggiore raccolta, incrementano i prestiti, la moneta continua a circolare favorendo l’economia in modo duraturo; se al contrario, per qualche motivo, le banche non aprono di più il ‘rubinetto’, i benefici sono temporanei ed i problemi restano irrisolti.
Poiché la QE è, come detto, una pratica a cui si fa ricorso nei momenti di grave difficoltà economica, sono alte le possibilità che le banche, nonostante la maggiore raccolta, preferiscano investire la propria liquidità piuttosto che prestarla, poiché i finanziamenti in tali periodi presentano forti pericoli di insolvenza,  e quindi un rapporto rischio/rendimento poco conveniente.
Per meglio capire se gli istituti finanziari siano propensi o meno ad erogare prestiti, è utile analizzare la velocità di circolazione della moneta.

La velocità di circolazione della moneta è il  numero di volte che, in media, l’unità di moneta viene scambiata in un dato periodo di tempo. La velocità di circolazione della moneta si ottiene dividendo il PIL nominale per la massa monetaria M1 (v. Teoria quantitativa della moneta).

I benefici dell’aumento della massa monetaria possono quindi essere ridotti o persino annullati dall’eventuale minor velocità di circolazione della stessa.
I fattori che possono produrre una variazione della velocità di circolazione della moneta sono molteplici.
Ricordiamo in particolare:

·    la frequenza con cui vengono percepiti salari o altre forme di reddito;

·  l’efficienza del meccanismo di pagamento. Questo fattore tiene conto della velocità con cui gli assegni vengono incassati e dell’uso più o meno frequente di altre forme di pagamento (carte di credito ecc.);

·   il costo da pagare per detenere moneta in forma liquida. Questi costi sono essenzialmente due: il mancato introito di interessi e l’erosione del valore della moneta a causa dell’inflazione. Chiaramente un aumento di questi costi induce i possessori di moneta a liberarsene, facendo quindi aumentare la sua velocità di circolazione.

Ipotizziamo, ad ogni modo, lo scenario decisamente meno probabile: le banche concedono più prestiti, aumenta in modo consistente la moneta in circolazione e, di riflesso, crescono i consumi e migliora l’economia.
Fin qui tutto bene, se non fosse che la crescita decisa dei consumi provoca  un incremento dell’inflazione che va ad incidere nei bilanci delle famiglie.
In sintesi, la quantitative easing diventa una sorta di tassa per le famiglie, che giunge in un momento già difficile.
Sono proprio le pressioni inflattive il motivo per cui, col passare del tempo, tale pratica è stata sempre meno adottata.
Il denaro quindi,  come abbiamo appena visto, o finisce nella pancia delle banche o, ben che vada, genera inflazione e quindi maggiori costi per le famiglie.
Inoltre, gli investitori più avveduti, potrebbero domandarsi perché lo Stato  reperisca denaro di nuova stampa dalla Banca Centrale invece di raccoglierne, di già circolante, direttamente  sul mercato.
Finirebbero col capire che lo Stato ha evidenti difficoltà di raccolta per lo Stato,  il che innescherebbe  una crisi di fiducia generalizzata, con crollo delle quotazioni obbligazionarie  e difficoltà sempre maggiori a reperire liquidità.
I presidenti delle Banche Centrali conoscono tutti questi aspetti negativi, e il vero motivo per cui ricorrono alla stampa di denaro fresco, spesso è quello di acquistare  tempo, sperando nel frattempo che l’economia riparta quanto prima, perché i mercati finanziari possono anche mentire sul breve termine, presentando quotazioni fuori da ogni logica, ma nel medio/lungo finiscono sempre col rispecchiare la reale situazione economica.
Un altro motivo, non meno importante, è quello di svalutare la propria moneta col fine di innalzare la competitività nei confronti degli altri Paesi; in tal senso si assiste alle cosiddette guerre valutarie.
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