Nell’ultima settimana i media hanno dato grande risalto all’indebolimento del dollaro che, in questo blog, s’era ipotizzato a Maggio dell’anno scorso (‘Euro-Dollaro: novità‘).
Il 9 dicembre, si scriveva così:
“A questo punto, il massimo relativo registrato a Settembre (1,2093) rappresenta l’ultimo baluardo prima dell’area 1,25 che rappresenta un target credibile.”
Alla luce del recente allungo, andiamo ad esaminare la situazione aggiornata del cambio, su base mensile:
Si osservi come i prezzi hanno effettivamente fatto il proprio ingresso all’interno dell’area, che potremmo identificare in 1,25-1,27, in cui convergono:
- proiezione rialzista del range laterale entro il quale il cambio si è mosso dal 2015 al 2017;
- trendline di massimi decrescenti avviatisi dal picco del Luglio 2008 (punto A);
- ritracciamento di Fibonacci del 38,2% del vettore ribassista A-B.
Pertanto, a questo punto sorgono i dubbi.
Per cui partiamo dagli elementi più solidi, seppur gli stessi non rappresentino certezze.
Personalmente ritengo che siano elevate le possibilità di trovarci in presenza di un’inversione di lungo termine e non di un semplice rimbalzo dell’euro.
A suggerircelo ci sono i grafici di lunghissimo termine che ho proposto nell’ultimo mese.
Andando oltre l’aspetto grafico, si ottengono conferme in tal senso.
Il dimezzamento del QE da parte della BCE da inizio anno (da 60 a 30 MLD al mese) e la decisione della Federal Reserve di ridurre progressivamente il bilancio (‘La Yellen annuncia la riduzione del bilancio‘) sono elementi chiaramente favorevoli ad un apprezzamento dell’euro e ad un deprezzamento del dollaro, che già si fanno sentire.
Recentemente il ministro del Tesoro americano Steven Mnuchin ha espresso un giudizio favorevole alla svalutazione del biglietto verde, per poi essere smentito nel giro di poche ore da Trump che, come un anno fa, ha ribadito la volontà di avere un dollaro forte.
Tra le due dichiarazioni, la più credibile è quella di Mnuchin.
Innanzitutto si precisa come, dall’insediamento di Trump, il dollaro si sia deprezzato di circa il 15% nei confronti dell’euro.
Per di più, la decisione di ridurre il bilancio dello Stato, come detto, è sfavorevole alla moneta americana.
Va inoltre sottolineata come il presidente americano abbia inneggiato in più occasione una politica protezionista, e la svalutazione del dollaro rappresenta sotto tutti gli effetti un dazio per gli altri Paesi.
Tornando all’aspetto grafico ed alla stretta attualità, sempre all’interno di un’impostazione di fondo rialzista (per l’euro), i possibili sviluppi di breve sono due:
- correzione da area 1,25-1,27 per scaricare l’ipercomprato su base giornaliera e settimanale;
- ulteriore sforzo al rialzo finalizzato a portare i prezzi oltre la trendline di massimi crescenti, per poi smaltire l’ipercomprato con un pull back.
Al di là del preciso sviluppo, è consigliabile prudenza all’investitore (non mi riferisco al trader) a cui, abituato a livelli di cambio decisamente più bassi, 1,25 può apparire come un’occasione imperdibile per acquistare il dollaro.
Riccardo Fracasso
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