Il rialzo della borsa americana, avviatosi nel lontano Marzo 2009, presenta numeri impressionanti: 9 anni di salita e +330% (da minimo a massimo) – dati S&P 500.

Ovviamente, il livello di partenza molto basso (666 punti) ha ampliato i margini della salita.

Ma tale aspetto non è certamente l’unico ad aver contribuito a raggiungere certi numeri.

Politica monetaria

Gli stimoli monetari decisi della FED non hanno precedenti storici: politica di tassi zero di 7 anni e di 3 QE (Quantitative Easing) che hanno immesso sul mercato ben 3 mila MLD di dollari.

Tuttavia, è giusto rammentare che l’ultimo QE si è concluso oltre 3 anni fa e da oltre 2 siamo in una fase di rialzo (seppur graduale) dei tassi.

In altre parole, ormai da qualche anno è venuto a mancare un importante elemento di sostegno per il mercato azionario.

A ciò si aggiunga che da Ottobre 2017 la FED sta attuando un progressivo ridimensionamento del reinvestimento dei rimborsi dei titoli in portafoglio, il che implica una riduzione del proprio bilancio.

In altre parole, con la conclusione del QE è venuta meno una notevole fonte di entrata nel sistema finanziario, con la riduzione del bilancio viene addirittura drenata liquidità, aspetto evidentemente sfavorevole.

Buy Back

Le aziende hanno destinato gran parte dei propri utili acquistando azioni proprie e solo in misura marginale impiegandoli per la crescita della propria attività.

Ciò ha evidentemente spinto il mercato azionario, ma ha contribuito a rendere ancor più sproporzionato il suo rialzo con l’effettiva crescita delle rispettive aziende.

Leva finanziaria

Il margin debt  è ai massimi storici, a livelli più che doppi rispetto a quelli del 2000 (bolla tecnologica) e quasi doppi a quelli del 2007 (bolla subprime).

Se da una parte la tendenza rialzista della leva favorisce il rialzo della borsa, dall’altra i valori descrivono una situazione di marcata vulnerabilità del mercato e suggeriscono molta cautela.

Politica fiscale Trump

Non serve essere grandi esperti economici per sapere che gli stimoli hanno un senso se utili.

Gli stimoli fiscali recentemente deliberati da Trump, in un quadro economico che presenta livelli (intorno al 4%) di disoccupazione nei pressi dei minimi storici, non lo hanno.

L’economia va aiutata esclusivamente quando necessario.

Negli altri casi, i benefici sono marginali/nulli mentre i danni possono rivelarsi devastanti.

Nei periodi economicamente positivi lo Stato deve limitarsi a ridurre eventuali disuguaglianze, evitare il surriscaldamento dell’economia e migliorare la situazione dei conti pubblici.

Trump sta facendo l’esatto opposto.

Se da una parte l’incremento dell’inflazione piuttosto debole richiede un rialzo dei tassi graduale e non troppo repentino, dall’altra il quadro generale americano non necessita di interventi statali.

I recenti stimoli fiscali del presidente americano appaiono fuori contesto.

Guardando al passato, potrebbero essere equiparati alla decisione di Greenspan (al tempo presidente della FED) di prolungare la politica monetaria espansiva anche quando la ripresa economica era solida, con l’illusione di estendere all’infinito la forsennata corsa del mercato immobiliare.

Infatti, Greenspan alimentò una enorme bolla immobiliare con i risultati che tutti sappiamo.

Oggi Trump aumenta in modo ingiustificato il debito, proprio quando dovrebbe contenerlo, ed il prezzo da pagare si rivelerà molto salato quando si tratterà di rifinanziarlo a tassi presumibilmente più alti degli attuali.

Inoltre, adottando misure fiscali quando l’economia è in salute, si priva di cartucce che gli sarebbero tornate utili per fronteggiare una futura recessione.

In parole semplici, si sta dando da bere ad un cavallo che in questo momento non ha sete.

Conclusioni

In buona sostanza, il rialzo avviatosi nel marzo del 2009 è stato favorito solo parzialmente dalla ripresa economica, ma principalmente dai buy back, dagli stimoli monetari e dal ricorso alla leva senza precedenti, e negli ultimi anni dalla carenza di alternative.

Elementi di supporto che in parte sono esauriti ed in parte presentano eccessi pari o superiori a quelli registrati nel 2000 e nel 2007.

Tutto ciò ha ampliato sempre più la forbice tra Wall Street (economia finanziaria) e Main Street (economia reale), ben rappresentata dal rapporto capitalizzazione di borsa / PIL, che ha raggiunto l’area di top storico registrata nel 2000.

Tale divario è destinato a rientrare, e proprio i tonfi del 2000 e del 2007 (rispettivamente -50% e -57%) ci dimostrano come ciò non avvenga mai in modo indolore e controllato.

Anche se non v’è certezza, la fiammata della volatilità cui abbiamo assistito ad inizio Febbraio potrebbe rivelarsi il campanello di allarme di tutto ciò.

Si ricorda, infatti, che fiammate simili non restano quasi mai fenomeni isolati, se non per qualche mese di apparente tregua.

Riccardo Fracasso

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